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DAGOGAMES BY FEDERICO ERCOLE - LA SEDE MILANESE DELLA FONDAZIONE PRADA HA ORGANIZZATO E OSPITATO L’EMOZIONANTE INCONTRO TRA HIDEO KOJIMA DI “METAL GEAR SOLID” E “DEATH STRANDING” CON NICOLAS WINDING REFN, IL REGISTA DI CULT MOVIE COME “PUSHER” E “WALHALLA RISING”. UN DIALOGO FILOSOFICO SULLE AFFINITÀ ELETTIVE, LA MORTE, LA MALATTIA E IL TEMPO SOTTRATTO O ADDIZIONATO ALLA VITA DAL CINEMA E IL VIDEOGIOCO… - VIDEO
Federico Ercole per Dagospia
Che l’opera di Hideo Kojima fosse generatrice di immagini di tale potenza e bellezza da emanciparsi dal “gioco”, esaltarlo al massimo nella sua qualità “video” e comporre il tessuto visionario di un cinema nuovo, fu evidente da Metal Gear Solid del 1998, con le sue lunghe soste non interattive, in realtà slanci emozionali ed estetici, che si rivelarono stupefacenti segmenti di una forma filmica aliena, per qualcuno persino disfunzionale alle regole del “gameplay”.
Se ne accorsero in pochi di questo valore aggiunto, autori di cinema soprattutto, come John Carpenter ad esempio, dalle origini curioso e amante dei videogiochi. In Italia con Metal Gear Solid 3 Snake Eater nel 2004 furono Enrico Ghezzi e Fuori Orario a innamorarsi di quei frammenti di cinema chimerico e del gioco “giocato” che le precedeva e le seguiva che diventava cinema anche esso, visioni fantasma di possibilità espresse o inesprimibili.
Tuttavia la critica specializzata questa tensione kojimiana sempre più sperimentale e personale ad un cinema che non trascorre attraverso i canali consueti e si sovrappone al gioco (ce ne è comunque sempre più che in tanti altri giochi “puri”), non la ha mai tanto sopportata, ma sottovalutata se non addirittura disprezzata.
A Kojima tuttavia di questa frangia così conservatrice e poco cinefila o del pubblico dei delusi non gliene è mai importato molto, d’altronde negli anni sono cresciuti i suoi “fan” illustri, tutti registi o autori connessi al cinema come Mamoru Oshii, Shinya Tsukamoto, George Miller, Guillermo del Toro e Nicolas Windig Refn. Sembra che Hideo Kojima faccia soprattutto giochi per registi, oltre che per se stesso.
In questo caso di grave incomprensione critica relativa all’opera di Kojima ecco dunque che risulta esemplare l’evento milanese svoltosi il 26 ottobre a Milano, nella Sala Godard della Fondazione Prada. Qui si è potuto assistere ad un prezioso, amichevole dialogo umanistico e filosofico tra Hideo Kojima e Nicolas Winding Refn.
SATELLITI (D’AMORE)
L’incontro si è svolto nell’ambito degli appuntamenti #Studio, serie di riflessioni sulle relazioni tra cinema e arti visive a cura di Paolo Moretti per la Fondazione Prada. A Milano Kojima e Refn hanno elaborato dei temi trattati nella mostra Satellites svoltasi negli spazi di Prada Aoyama di Tokyo, moderati con competenza dal giornalista Matteo Bordone e Katya Inozemtseva (Head of Curatorial Department di Fondazione Prada) che hanno saputo alimentare quelle “goethiane” affinità elettive che ci sono tra i due autori, lasciando che fluissero al pubblico.
C’è stato il racconto affascinante nella sua qualità intimistica e già mitica insieme della nascita di questa amicizia e collaborazione, perché Refn è un personaggio fondamentale dei due Death Stranding. Curioso e poetico che quest’amicizia di fondi su un linguaggio esclusivo che è stato coltivato attraverso immagini condivise, perché Kojima non conosce l’inglese e Refn il giapponese, ed è maturato durante l’isolamento del COVID. Ecco dunque il perché di “Satelliti”, hanno spiegato i due: così si sentivano, isolati nello spazio, ma attratti da una comune forza di gravità passionale che li connetteva, li univa, non li faceva sentire soli.
Ho seguito l’incontro da una posizione assai vicina a Kojima e Refn ed era evidente durante il dialogo una postura spesso identica dei corpi, una corrispondenza ritmica delle movenze che dava vita ad una simmetria persino “kubrickiana” dell’immagine e dopo la conferenza entrambi sono tornati per introdurre la proiezione di 2001 Odissea nello Spazio! Più che una conferenza sembrava che stesse andando in scena una rappresentazione, un doppio monologo interiore che diventava dialogo. Poi questo contrappunto spirituale ha virato verso le regioni tematiche della morte, della malattia e del tempo.
TEMPUS FUGIT
Musica, cinema, letteratura, teatro, videogiochi… Arti che vivono con il tempo, alterandolo senza fissarlo come invece la pittura, l’architettura o la scultura sebbene anche queste richiedano gli attimi della contemplazione. Ma le prime trascorrono, si realizzano e fuggono con il nostro tempo oggettivo e soggettivo, occupandolo e sottraendolo all’esistenza. Oppure addizionandolo?
Nell’epoca del consumo bulimico di tantissima mediocrità televisiva in streaming o del pattume che si legge/guarda morbosamente sul telefono mentre la clessidra si svuota implacabile, per un autore comporre un’opera ha un rilievo etico determinante. Perché c’è il rischio di indurre ad uno spreco di “vita”.
Una questione davvero fondamentale, forse senza risposta se non quella che le grandi opere offrono un tempo altro, un’esistenza altrove che non è dissipare la vita ma espanderla, rompere il tempo con un altro tempo, l’illusione di più vite. La fruizione dell’arte non è consumare, l’arte è esistenza, l’arte è anche ricordo e amore, non solo il presente della sua fruizione; e non si tratta nemmeno di qualità, ma di atteggiamento, ci fanno capire Kojima e Refn.
Insomma un incontro straordinario, organizzato dalla Fondazione Prada a Milano, e sebbene il tempo morda le caviglie malevolo, le parole di Kojima e Refn hanno qualcosa di dolce e balsamico, una ninna-nanna che non addormenta ma risveglia senza la crudeltà di un allarme perentorio.
Incontro con HIDEO KOJIMA E NICOLAS WINDING REFN - foto Patrick Toomei Neri / Courtesy Fondazione Prada
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norman reedus hideo kojima
NICOLAS WINDING REFN
nicolas winding refn death stranding 2 on the beach
ELLE FANNING NICOLAS WINDING
mads mikkelsen e kim bodnia in pusher
hideo kojima
mads mikkelsen pusher ii sangue sulle mie mani
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ryan gosling nicolas winding refn drive
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Incontro con HIDEO KOJIMA E NICOLAS WINDING REFN - foto Patrick Toomei Neri / Courtesy Fondazione Prada
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