DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Federico Ercole per Dagospia
Durante i giorni crudeli e primaverili di un aprile proibito potremmo non essere interessati al rifacimento del terzo episodio di Resident Evil, persino provare paura e repulsione verso la virtuale finestra mostruosa e infetta che questo videogame di sopravvivenza e orrori apre su una realtà già pandemica. Anche l’appassionato della longeva serie di Capcom vi si accosterebbe con sospetto, magari arrivando dai dolci e sciocchi panorami di Animal Crossing.
Tuttavia ci vuole davvero poco, se amate l’horror anche durante il vero orrore proprio, perché la finzione vi è utile per razionalizzarlo ed esorcizzarlo, ad essere catturati dalle braccia marcescenti degli zombie, dai tentacoli delle mutazioni e dai molli, ributtanti pungiglioni degli insetti abnormi di quest’opera del terrore partecipato. Allora questo eccellente e coerente remake del classico anni ‘90 uscito per PlayStation 4, XBox One e PC trascorrerà con una ritmica giocosa, il rigore dell’incertezza, l’epica concisa e la segreta, terribile bellezza di un film di John Carpenter, come Fantasmi da Marte ad esempio.
L’identificazione in Jill Valentine, la protagonista interpretata da una dolente e stupenda Sasha Zotova, è immediata e forte, scatenata da un’onirico segmento in soggettiva che rivela la nostra stessa reclusione, il terrore per il contagio. Jill è come noi chiusa in casa durante un’epidemia, l’immaginaria città americana di Raccoon City si sta estinguendo all’incedere di un morbo artificiale inventato dalla multinazionale farmaceutica (e creatrice di orribili armi per l’esercito) Umbrella, e sentendo la donna così vicina risulta giusto e naturale, un gesto catartico, sentire una forte pulsione per proseguire nel gioco e “sparare in faccia” al virus, perché almeno qui possiamo, con le pallottole contate, ovviamente.
ESTREMO!
Mai stancarsi di ribadire che i videogame della saga di Resident Evil vadano giocati nella modalità più ostica, perché non sono punitivi ma stimolanti e strategici, rivelando solo così la loro vera anima avventurosa, dichiarata solo dalla difficoltà. Capcom dovrebbe fare come From Software con i suoi Dark Souls, eliminare ogni altro modo di gioco per affrontare le proprie opere che non sia quello più estremo.
Soprattutto Resident Evil 3 rischia di essere frainteso, se giocato a “facile” o “normale”, per la natura non più contenuta del solito, ma invece accelerata, dell’originale al quale si ispira. Esperendolo con facilità e di corsa il gioco in questione potrebbe quindi risultare troppo corto (5/6 per completarlo) e alimentare lamentele sul costo, sebbene sia incluso nel pacchetto il gioco multiplayer RE Resistance.
Bisogna giocare lenti, camminare sempre e correre solo quando è necessario, perché solo così l’atmosfera può farci respirare i suoi orrori, investirci di suspense tramite effetti di luce e ombra, dettagli e suoni, mettendoci al centro di un’agghiacciante e precisa messa in scena dello spavento che può sfuggire se male interpretata.
È necessario aggiungere, per coloro che “io lo gioco facile e di corsa” rovinandosi così l’esperienza, che la modalità “estrema” è meno ostica del solito perché consente i salvataggi infiniti della propria posizione invece che quelli contati relegati al “nastro d’inchiostro”.
ATLETICA DELLA SOPRAVVIVENZA
Ci sono dei segmenti che mancano rispetto all’originale, come l’intera ed enigmatica sequenza della Torre dell’Orologio, ma nel rifacimento ce ne sono altri amplificati e assai più terrorizzanti. Durante la nostra fuga metropolitana e sotterranea dall’implacabile e inestinguibile super-zombi-mutante detto Nemesis, dovremo penetrare nel covo di pseudo-cimici che ci secernono in gola le loro uova che, se non riusciamo a vomitarle, ci squarceranno il petto peggio che in Alien.
Ci sono poi dei “ranocchioni” nelle fogne, nemici ingombranti e letali tra i cunicoli, che con il loro muoversi pesante e insieme verminoso rimandano ai Khezu di Monster Hunter. Anche la lunga parte nell’ospedale, con una tesissima scena d’assedio, risulta causare più ansia e paura, anche grazie agli Hunter, mutazione anfibia che qui risulta molto più cattiva e coriacea del consueto.
Ma la cosa più riuscita del nuovo Resident Evil 3 è la possibilità di schivare gli assalti nemici memorizzando i loro attacchi e, soprattutto, i versi che li precedono e accompagnano. Con un po’ di pratica potremo attraverso gruppi di morti viventi compiendo una performance atletica elegante e utile, una danza della sopravvivenza che è nuova in tutto il panorama mediatico a tema zombie dopo il grande cinema di George Romero.
Horror teso, inadatto o magari troppo adatto per quest’epoca di contagio globale e quarantena, Resident Evil 3 remake è un survival horror che se non raggiunge per una gocciolina di sangue la magnificenza purulenta del rifacimento del secondo episodio uscito l’anno scorso è solo per la differenza oggettiva che c’è tra gli originali degli anni ‘90, neppure qualitativa ma formale. Si tratta comunque di un’esperienza ludica per adulti visionaria è terrorizzante, gratificante e addirittura consolatoria nel farci guardare negli occhi disumani del mostro-virus, per poi farceli strappare e schiacciare sotto le suole, invece di trasformarci a nostra volta in mostri.
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