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    VIRGINIA WOOLF, UNA TIPA URTICANTE: “ANCORA NON RIESCO A ESTIRPARE QUEST’ORTICA CHE HO DENTRO” - "I DIARI INEDITI" DELLA SCRITTRICE: “PERCHÉ LA VITA È COSÌ TRAGICA? SCRIVENDO SBOLLISCO IL NERVOSISMO, PERCIÒ SE SCRIVO STUPIDAGGINI PAZIENZA... MA VITA, VITA! CHE VOGLIA AVREI DI PRENDERTI TRA LE BRACCIA E STRITOLARTI!” – LA BORDATA A T.S. ELIOT: “MI HA DELUSO; È SCONTROSO, LAMENTOSO, EGOISTA”. E SU JOYCE...


     
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    Stralci da “Diari II (1920-1924)”, di Virginia Woolf (ed. Bompiani), pubblicati dal "Fatto quotidiano"

     

    virginia woolf virginia woolf

    Soltanto il pavimento mi separa da T. S. Eliot. La cosa strana è che ha gli occhi vivaci e giovani mentre l’impronta del viso e lo stile delle sue frasi è formale e perfino pesante. Pare un viso scolpito – senza labbro superiore: imponente, poderoso; pallido. E poi quegli occhi castani sembrano sfuggire al resto della persona...

     

    È migliorato col procedere della giornata; rideva più apertamente; è diventato più simpatico. L. (Leonard Woolf, marito di Virginia, ndr) l’ha trovato deludente quanto a cervello – meno poderoso del previsto, e con minore flessibilità mentale. Io sono riuscita a non farmi sommergere, anche se un paio di volte ho sentito l’acqua salire.

     

    Con questo intendo che lui ha ignorato del tutto le mie pretese di scrittrice e se fossi stata più remissiva immagino che sarei finita sott’acqua – ho sentito lui e le sue opinioni dominanti e sovversive... Dopo il tè abbiamo parlato un po’ delle cose che scrive. Ho il sospetto che celi una buona dose di vanità e anche di inquietudine al riguardo. L’ho tacciato di nascondere volutamente le transizioni.

     

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    Lui ha detto che le spiegazioni non servono. Se le inserisci, annacqui i fatti. Andrebbero intuite senza spiegazioni. L’altra mia accusa è stata che serve una mente ricca e originale per avvalorare una scrittura così psicologica. Lui mi ha detto che niente gli interessa quanto le persone. Non riesce a leggere Wordsworth quando parla di natura...

     

    James Joyce offre interni. Il suo romanzo Ulisse presenta la vita di un uomo in 16 episodi che si svolgono tutti (mi pare) in una sola giornata. Eliot, per quello che ha visto, dice di trovarlo davvero geniale. Forse cercheremo di pubblicarlo. Ulisse, secondo Joyce, è il più grande personaggio della storia. Joyce in sé e per sé è un tipo insignificante, con gli occhiali spessi un dito, un’aria un po’ alla Shaw, scialbo, egocentrico e sicurissimo del fatto suo. C’è molto da dire sui tanti aspetti di Eliot – per esempio la difficoltà di stabilire un contatto con le persone intelligenti – e via dicendo – anemia, imbarazzo; la sua mente, però, non è ancora spuntata né offuscata. Vuole scrivere in un inglese preciso; ma si sorprende a fare dei lapsus; e se qualcuno gli domandasse se intendeva quello che ha detto, dovrebbe rispondere, molto spesso, di no...

     

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    Perché la vita è così tragica; così simile a una piccola striscia di asfalto sopra l’abisso? Guardo giù; sento una vertigine; mi domando come farò a camminare fino in fondo. È il senso d’impotenza: di non farcela...

     

    La malinconia diminuisce man mano che scrivo. Allora perché non ne scrivo più spesso? È la vanità a impedirmelo. Voglio apparire stimata anche ai miei occhi. Ma non arrivo al sodo. È il fatto di non avere figli, di vivere lontano dagli amici, di non riuscire a scrivere bene, di spendere troppo per mangiare, di diventare vecchia – penso troppo ai perché e ai percome: troppo a me stessa. Non mi piace che il tempo mi svolazzi intorno. Allora lavora. Sì, ma mi stanco così in fretta del lavoro – non riesco a leggere più di un pochino, un’ora di scrittura basta e avanza.

     

    Nessuno viene fin quaggiù a perdere piacevolmente tempo.

     

    virginia woolf virginia woolf

    Se vengono, mi dà fastidio. Andare a Londra è una sfacchinata... È la vita in sé e per sé, penso certe volte, per noi della nostra generazione così tragica. L’infelicità impazza; basta uscire di casa; o la stupidità, che è peggio. Ma ancora non riesco a estirpare quest’ortica che ho dentro...

    Penetrata di rado come sono dall’amore per il genere umano, a volte mi spiace per i poveri che non leggono Shakespeare, e devo dire che ho avuto una generosa ipocrisia democratica all’Old Vic quando hanno messo in scena l’Otello e i poveri, uomini, donne e bambini, l’hanno avuto tutto per sé. Che splendore, e che povertà. Scrivendo sbollisco il nervosismo, perciò se scrivo stupidaggini pazienza... Abbiamo convenuto che scrivere è un supplizio.

     

    Ma per noi è vita. Respiriamo la vita attaccandoci alla penna. E l’emozionante illusione ha inizio. Clive Bell (critico, amico e amante della Woolf, ndr) dice che noi versiamo fiumi d’alcol per creare storie d’amore che non esistono...

     

    Virginia Woolf Virginia Woolf

    Eliot ha cenato qui e ha letto il suo poema. L’ha cantato, salmodiato, scandito. Ha grande bellezza e forza espressiva: simmetria; e tensione. Quale sia il collante non l’ho capito bene... La terra desolata, s’intitola; e Mary Hutch (compagna di Bell, ndr), che l’ha sentito con più calma, lo interpreta come l’autobiografia di Tom – un’autobiografia malinconica.

     

    Ebbene sì, Mary mi ha dato un bacio lungo le scale, poi è venuta verso di me e mi ha fatto le fusa all’orecchio...

    Eliot mi ha leggermente deluso; è scontroso, lamentoso, egoista; per farla breve la povertà è indecorosa. Pilucca ciliegie, ma ci ricama su e complica le cose, ti dà la sensazione che tema la vita come un gatto teme l’acqua. Ma se solo glielo accenno sfodera subito gli artigli.

     

    Certo, considerato quanto mi sono spesa per lui nutro senz’altro qualcuno dei sentimenti vili e altezzosi della benefattrice.

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    Dipende dal fatto che è americano, dice L.; americano e nevrotico... Ma vita, vita! Che voglia avrei di prenderti tra le braccia e stritolarti!

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