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    “L'INSOFFERENZA VERSO CONTE NON È MAI STATA COSÌ ALTA NEL PD” - LE VOCI DAL NAZARENO FANNO CAPIRE QUALE SIA IL MALUMORE DEM VERSO IL GOVERNO - E SE ZINGARETTI LANCIA ULTIMATUM (“IL GOVERNO VADA AVANTI SENZA PIGRIZIE”), SI RINFORZANO LE VOCI DI UN PATTO A TRE GUERINI-RENZI-DI MAIO PER MANDARE LORENZO GUERINI A PALAZZO CHIGI, CON LUIGINO VICEPREMIER…


     
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    Carlo Bertini per “la Stampa”

     

    LORENZO GUERINI GIUSEPPE CONTE LORENZO GUERINI GIUSEPPE CONTE

    «L'insofferenza verso il premier non è mai stata così alta nel Pd», rivela un dirigente appena uscito dalla sede del Nazareno. Il segretario Nicola Zingaretti si morde la lingua, più di tanto non può dire, ma basta l'istantanea consegnata da una sola frase, «il governo vada avanti, ma concreto e senza pigrizie», per far capire che aria tira dalle sue parti. Se il malumore verso Conte monta tra i suoi ministri, è l'inazione verso ferite aperte da mesi come i casi Mittal, Alitalia e Atlantia ad agitare Zingaretti. Sono le decine di fronti aperti e i fondi europei da gestire, a far dire ai suoi ministri «non abbiamo mica vinto le elezioni, che ci mettiamo a fare la lista delle cose da fare con gli Stati generali».

     

    LORENZO GUERINI GIUSEPPE CONTE LORENZO GUERINI GIUSEPPE CONTE

    E se alla scossa del segretario si aggiunge quella del suo vice Andrea Orlando, che invita Conte «ad evitare false partenze» e ad un «approfondimento» sui fondi europei che consentono «una svolta», allora si capisce che l'irritazione per queste assise convocate da Conte senza imbastire una strategia comune, stia crescendo di ora in ora. Per non dire degli effetti nefasti di quello che doveva essere un utile contributo, il piano Colao di 121 pagine, che si sta rivelando fattore di guerra intestina: con i ministri che vedranno singolarmente il premier per capire quanto di quel documento finirà nel cahier degli Stati generali.

     

    LE IDEE FORTI CHE MANCANO

    FRANCESCHINI RENZI FRANCESCHINI RENZI

    Il segretario non si mette di traverso formalmente, non gioca allo sfascio, anzi è costretto a fare lo scudiero di Conte. Ma è convinto che da un evento del genere bisognerebbe uscire con tre o quattro idee forti, in assenza delle quali si rischia una passerella suscettibile di attacchi dalle categorie produttive.

     

    «Sostenibilità, lavoro sicuro e comunità, sono gli obiettivi fondamentali», propone ad esempio il capogruppo alla Camera Graziano Delrio. E Dario Franceschini, dopo aver fatto presente al premier che il Pd non è d'accordo a snobbare il Mes, chiede di decidere preventivamente tre punti forti sui quali puntare per far capire che Italia si stia progettando.

    luigi di maio dario franceschini luigi di maio dario franceschini

     

    RUMORS SU GUERINI PREMIER

    Al capodelegazione Dem viene attribuita un'arrabbiatura nei confronti di Conte, tale da alimentare voci nei Palazzi di una sorta di piano B. Il ministro della Cultura, secondo i rumors che circolano tra i Dem, avrebbe stretto una sorta di patto con Matteo Renzi e Luigi Di Maio: per sostituire Giuseppe Conte con Lorenzo Guerini, un ex democristiano come lui, gran tessitore e personaggio apprezzato in alto loco (specie su al Colle), capace di dialogo a 360 gradi, senza mai indulgere in personalismi. Di Maio rivestirebbe in questo scenario il ruolo di vicepremier. Guerini però nega decisamente: «Non esiste», dice il ministro della Difesa, ricordando la grande stima che nutre verso il premier.

     

    giuseppe conte luigi di maio dario franceschini giuseppe conte luigi di maio dario franceschini

    Ovvio che questi scenari rimbalzino fino al Nazareno, ma Zingaretti non crede in uno showdown di Conte e tantomeno ad un rimpasto di ministri, che porterebbe dritto alle urne, secondo il segretario. Fatto sta che al premier i dirigenti Dem imputano una sorta di «sindrome napoleonica», una mancanza di condivisione sul merito e sul metodo di questo evento. Gli uffici del Pd sono in attesa della convocazione, ventilata per oggi o domani, dei capigruppo di maggioranza per un confronto preventivo alla vigilia del primo giorno di summit. Nessuno sa nulla e la rabbia sale. Tanto che dopo vana attesa, se ne esce stizzito il capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marcucci, con un tweet piuttosto eloquente. «Le leggi si fanno in Parlamento e non a Villa Pamphili».

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