walter veltroni foto di bacco
1 - DAGONOTA
Volete sapere chi è il candidato del Pd al Quirinale, in barba alle ambizioni di Su-Dario Franceschi? È Walter Veltroni. L’ex sindaco di Roma lavora sotto traccia smuovendo la fittissima rete di contatti creata in decenni di attività cultural-politica. “Walterloo” si muove in simbiosi con l’eterno braccio destro, Goffredo Bettini, che è l’advisor e azionista di peso del segretario del Pd, Zingaretti.
Le voci che si rincorrono su Mario Draghi prossimo inquilino del Quirinale sono - a oggi - prive di fondamento: i cinquestelle sono contrari alla sua elezione, visto l’ingombrante passato da banchiere Goldman Sachs e l’immagine di araldo della “casta” Bankitalia-Financial Stability Board-Bce, molto lontano dal prototipo di presidente dei sogni incarnato dal fu idolo grillino, Stefano Rodotà.
goffredo bettini
Ps: siamo sicuri che Sergio Mattarella, che a fine settennato avrà 81 anni, non sia disponibile a un secondo mandato, come già avvenne per Giorgio Napolitano? Sarebbe la migliore garanzia per l’Europa, visti i suoi ottimi rapporti con Merkel e Macron…
2 - IL PD TRA CONTE E IL M5S «DIRANNO DI NO AL CANDIDATO COMUNE PER IL QUIRINALE»
Massimo Franco per “il Corriere della Sera”
«Il Movimento Cinque Stelle non presenterà mai un candidato al Quirinale con noi». Al vertice del Pd ne sono convinti, ormai. L'epilogo delle candidature per le Regionali, con i grillini che per l'ennesima volta si sono smarcati in extremis insieme ai renziani, proiettano sulla maggioranza nazionale un'ombra di precarietà destinata a inspessirsi; e, di rimbalzo, sulle votazioni del 2022 sul capo dello Stato. Perfino se un pezzo del M5S offrisse garanzie, la sensazione è che non basterebbe.
MARIO DRAGHI
In Parlamento potrebbe succedere di tutto, con un Movimento polverizzato e alla ricerca solo di pezzi residui di potere per sopravvivere prima delle elezioni. E pensare che nel Partito democratico gli ultimi dieci mesi sono valutati in modo positivo. Quando nacque in modo rocambolesco il secondo governo di Giuseppe Conte, passato dal «contratto» tra M5S e Lega all'intesa con la sinistra senza muoversi da Palazzo Chigi, la strada si presentava in salita proibitiva. In poche settimane si consumarono due scissioni, quella di Matteo Renzi e quella di Carlo Calenda, che nella sponda oggettiva col M5S sembravano puntare al logoramento e alla distruzione del Pd.
Bettini e Zingaretti
L'operazione, però, è fallita, visti i sondaggi impietosi. Il grillismo sta implodendo. La Lega di Matteo Salvini è data in calo. Ritenere che questi elementi siano motivo di sollievo per il segretario Nicola Zingaretti e l'intero Pd significherebbe dire una bugia, però. E non per le incursioni improbabili contro la leadership che arrivano da sindaci come quello di Bergamo, Giorgio Gori. Il primo problema è che l'alleanza M5S-Pd rimane ancorata a uno stato di precarietà, senza amore né convinzione.
E questo si riverbera su un governo promosso per quanto ha fatto nei mesi dell'emergenza da pandemia; ma rimandato a settembre e a rischio di bocciatura per quanto non sta decidendo adesso: nonostante gli indici di popolarità di cui gode Conte. Il giudizio sugli Stati generali dell'economia è liquidatorio.
mattarella napolitano
Dal Pd era arrivato il suggerimento a rimandarlo alla fase successiva alla chiusura di alcuni dossier come Alitalia, ex Ilva, Autostrade. Avrebbe prevalso invece «lo schema del Grande Fratello istituzionale», con un disastro comunicativo che ha dato la sensazione di una «fuga dalla realtà»: tanto che nell'uscita estemporanea del premier sull'abbassamento dell'Iva il partito di Zingaretti ha colto una mossa «alla Berlusconi», che voleva essere a effetto e invece ha prodotto solo tensioni.
Sergio Mattarella a colloquio con il presidente emerito Giorgio Napolitano
Con echi anche europei, perché si parla di un Paolo Gentiloni, commissario agli Affari economici, preoccupato della piega che sta prendendo la risposta dell'esecutivo di Conte alla fase post-pandemia: col rischio che i pregiudizi anti-italiani delle nazioni nordeuropee lievitino e sgonfino la consistenza degli aiuti finanziari. Politicamente, il presidente del Consiglio è visto come un interlocutore della sinistra. Il vertice del Pd è dell'idea che, fosse stato per Conte, le alleanze nelle regioni si sarebbero fatte. Il problema è che nessuno oggi controlla il M5S; e che sulle misure economiche sta emergendo un difetto di strategia di Palazzo Chigi dai contorni preoccupanti.
luciana lamorgese
Settembre fa paura per molte ragioni. La prima è il fantasma di un coronavirus di ritorno, magari portato dagli immigrati dall'Africa. Per questo verrà chiesto al ministro dell'Interno, il prefetto Luciana Lamorgese, un commissario straordinario che prevenga e circoscriva eventuali focolai. Come corollario cresce il timore di una rabbia sociale alimentata dai rinvii continui di un esecutivo che annuncia, promette ma non risponde in concreto. Per questo si martella sull'esigenza che Palazzo Chigi decida sulle questioni aperte, compreso il prestito Mes sul sistema sanitario: ignorando i veti sempre più lunari dei Cinque Stelle.
MATTEO SALVINI GIORGIA MELONI SELFIE IN PIAZZA
E il 20 settembre ci sarà il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari: una scadenza alla quale il vertice del Pd vorrebbe arrivare con una legge elettorale proporzionale approvata da almeno una delle Camere. Sarebbe un primo passo per scongiurare la possibilità che la destra di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni arrivi al 51 per cento dei voti, votando con la legge attuale per un Parlamento dimezzato. Si tratta di una strategia molto difensiva, che scopre la frustrazione di un Pd costretto a fare i conti con i numeri parlamentari del 2018: con M5S e Iv sovrarappresentati, nonostante nel Paese il loro radicamento si sia ormai rattrappito, mentre i Democratici si sono consolidati sopra il 20 per cento.
Ma conterà poco, se a settembre le Regionali daranno risultati deludenti a un fronte governativo diviso rispetto alla destra. E nel 2021 si voterà per il Campidoglio: partita che, secondo la cerchia di Zingaretti, presidente della regione Lazio, il Pd potrebbe vincere facilmente. Con un piccolo, enorme ostacolo: nessuno dei candidati «forti», dagli ex premier Enrico Letta a Paolo Gentiloni, al presidente del Parlamento europeo David Sassoli è disponibile. Così, riaffiora l'incubo di una replica della sconfitta al rallentatore del 2016 contro la grillina Virginia Raggi per mancanza di un vero contendente, favorendo stavolta la destra. E non è ancora chiaro se e chi riuscirà a esorcizzare questo spettro.