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    VOLETE SAPERE COME E’ FATTO UN SEXY SHOP GIAPPONESE? - DA FUORI SEMBRA UN NEGOZIO DI FUMETTI, TUTTE LE IMMAGINI DEI GENITALI SONO PIXELATE, DENTRO E' ZEPPO DI MASTURBATORI MASCHILI, VAGINE FINTE E MANGA A LUCI ROSSE - TRA LE TANTE STRANEZZE C’E’ IN VENDITA IL PROFUMO DI UMORI VAGINALI, RICREATO CHIMICAMENTE


     
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    Fjona Cakalli per https://www.gqitalia.it

     

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    Paese che vai, usanze (sessuali) che trovi. La cultura influenza profondamente la nostra visione della sessualità. Questo accade anche in Giappone, terra affascinante dove tradizione e modernità sono in grado di convivere in modo inusuale, come in nessun altro posto sul Pianeta Terra. Amo questo paese, amo le sue sfaccettature, i suoi contrasti e le sue regole: ferree e intransigenti.

     

    Durante il mio ennesimo viaggio a Tokyo, ho deciso di fare un tour turistico decisamente insolito. Basta templi, grattacieli o parchi. Questa volta mi sono addentrata un po’ di più nella cultura di questo paese, cercando di capire la sessualità di un popolo così complesso.

     

    Non è facile spiegarvi brevemente il modo in cui pensa e agisce una persona giapponese. Un giorno qualcuno mi ha detto: “solo un giapponese può capire realmente cosa pensa un giapponese”. Mai frase fu più vera. A me però piace il rischio, quindi provo a spiegarvi la sessualità giapponese, per come l’ho vista e capita io.

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    Quale miglior modo per farlo se non esplorare un sexy shop di 7 piani nel cuore del quartiere otaku di Akihabara a Tokyo? Si chiama “pop life department. m’s” ed è uno dei luoghi che più di tutti mi ha aperto gli occhi sulla cultura sessuale giapponese. Appena usciti dalla stazione di Akihabara – a Tokyo – lo riconoscerete subito. È di color verde pisello (scusate la battuta pessima) ed è tutto rivestito di immagini di manga. Da fuori non pare nemmeno un sexy shop, piuttosto un negozio di fumetti. Ma non fatevi ingannare dalle apparenze. In Giappone tutto è kawaii, anche il sesso.

     

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    Entrando al piano terra si incontra il reparto più tradizionale. Quello della cinematografia porno. Controllando mi accorgo di una sola cosa: i pixel della censura. Per chi non lo sapesse, non è una leggenda metropolitana: i porno giapponesi sono pixelati. I genitali e i peli pubici vengono censurati. So già qual è la domanda ce vi sta balenando in testa: “Ma è un porno, come si fa a censurarlo?”. Eppure accade per davvero. Questa è la legge giapponese.

     

    Secondo l’articolo 175 del codice penale giapponese (datato 1907) è vietato distribuite materiale osceno: i genitali e i peli pubici appartengono alle categorie considerate eticamente indecenti. Per questo motivo i produttori di film pornografici, per non incappare in pesanti multe, censurarano pixelando tutto ciò che è indecente. Tuttavia, la leggente, non parla esplicitamente di pornografia.

     

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    Alcuni giapponesi mi hanno detto che questa legge sia stata emanata per impedire l’importazione della pornografia americana. La censura dei genitali, ha fatto si che il porno giapponese abbia assunto diverse forme fantasiose come il bukkake. Non sto a spiegarvi di cosa si tratti, credo siate già edotti in merito. Il ragionamento non fa una grinza: se non puoi mostrare una vagina e un pene, mostra altro che possa stimolare ugualmente i fruitori.

     

    Intorno a me vedo signori di una certa età, coppiette e tanti occidentali. Ovviamente scattare fotografie è vietatissimo. Per dovere di cronaca, ci ho provato, ma sono stata scoperta in un batter d’occhio. Qui i commessi sono come falchi.

     

    Inizio a girovagare tra gli scaffali del “pop life department. m’s” con una certa difficoltà: non ci si riesce quasi a muovere talmente sono strette le corsie. Con lo zainetto, sono riuscita a colpire e abbattere tutti i gadget erotici di questo pianeta, ma tutto sommato meglio così. Mi sono accorta della loro esistenza. Poso il film porno e prendo le scale per salire al piano di sopra.

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    Di fronte a me si apre il regno dell’autoerotismo maschile. Il marchio più famoso in Giappone che produce questo tipo di gadget si chiama Tenga. I loro prodotti? Non sono altro che dei “tubi” in cui infilare il vostro pene e iniziare a divertirvi. Tenga è un brand giapponese nato nel 2005 che produce solo ed esclusivamente masturbatori per maschietti. Non hanno la forma di una vagina e sono caratterizzati da un design unico e divertente. Pensate un po’, il marchio Tenga è talmente cool che sponsorizza addirittura atleti professionisti tra cui surfisti e skater.

     

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    Ma non ci sono solo prodotti Tenga al “pop life department. m’s”: tantissime altre vagine in silicone, chiamate onahole, racchiuse in scatole di cartone attendono i clienti. Se siete esigenti potete anche toccare con mano il loro interno: già perché nelle varie parti espositive troverete questi oggetti sezionati in modo da capire quale possa effettivamente soddisfare le vostre esigenze. Dentellate, sagomate, con sporgenze varie a anche consistenze differenze. Ce n’è per tutti i gusti.

     

    Pensate che sono finita pure per inciampare in una vagina finta la cui confezione e il cui aspetto assomigliavano in tutto e per tutto a un model kit (un modellino da assemblare che solitamente ha le sembianze di robot, astronavi o altro). Insomma anche questo aspetto della vita giapponese – la sessualità – e indissolubilmente legata al mondo dei manga.

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    Vi ricordate quanto Antonio Albanese nei panni di Cetto Laqualunque prometteva distese di “pilu”? Ecco, pare che agli uomini giapponesi il pilu manchi. I motivi sono svariati e complessi.

     

    Detto ciò, provo a spiegarvi senza banalizzare il problema dei giapponesi; perché di problema di tratta. Spesso ci troviamo di fronte a uomini timidi (identici a quelli che troviamo negli anime), che arrivano a lavorare fino a 16 ore al giorno e che tornano a casa stressati e senza la forza di fare sesso con la propria compagna (qualora ne abbiano una ovviamente). Capite bene che tutti questi fattori permettono il prolificare di arnesi per l’autoerotismo.

     

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    Se da una parte il problema dell’astinenza può essere risolto con un masturbatore, dall’altra sta affondando la popolazione giapponese dal punto di vista economico. Il sesso, qualora non lo sappiate, potrebbe produrre dei bambini; bambini che in Giappone non nascono più. L’inesorabile invecchiamento della popolazione giapponese ha creato una crisi demografica dai tratti tragici.

     

    Al terzo piano invece, sempre, per i maschietti, mi sono imbattuta in altri curiosi gadget. Uno dei quali esplicato da un foglietto illustrato come se fosse un fumetto. Non ne conosco il termine tecnico (sempre che esista): sostanzialmente si tratta di un oggetto in metallo di circa 15 centimetri, molto sottile e lungo, intermezzato da diverse palline. Se non avessi guardato le immagini sul foglietto illustrativo non mi sarei nemmeno sognata il suo utilizzo. Se dico “massaggio prostatico attraverso l’uretra”, rendo l’idea?

     

    Lo so che state facendo dei versi strani, li ho fatti anche io pur non possedendo un pene.

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    Proseguo il mio curioso tour turistico tra i corridoi del “pop life department. m’s”. Con lo zainetto colpisco un altro oggetto: una piccola boccettina, carinissima, un sacco kawaii. Riesco a capire che si trattava di profumo di umori vaginali, ovviamente ricreato chimicamente. Una versione evoluta delle mutande sporche contenute nelle palline per gashapon, tanto in voga un tempo. Questo prodotto ovviamente può coadiuvare l’utilizzo dei masturbatori per rendere l’esperienza ancor più realistica.

     

    Giunta a quel punto, ho aguzzato la vista. Dovevo trovare dell’altro, stava diventando tutto troppo diverso da ciò a cui siamo normalmente abituati.

     

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    Al quarto piano, ad altezza occhi mi ritrovo dei preservativi. E fin qui nulla di strano se non che la versione “Mega Big Boy” (la cui confezione raffigurava anche un elefante) era di 46 mm di diametro. La misura dei normali preservatici giapponesi, invece? Lo schemino apposto sullo scaffale riportava 31 mm di diametro. Fate un po’ voi i calcoli. Non so quanto misuri il vostro, ma sappiate che in Giappone vi sentirete Rocco Siffredi. A sostegno della mia teoria, posso dirvi che ho visto un ragazzo occidentale sentirsi molto in imbarazzo mentre ne acquistava una scatola.

     

    Ovviamente non mancano diversi strumenti per il BDSM, con un grande spazio dedicato alle corde per praticare l’arte del bondage giapponese chiamato shibari (o kinbaku). Ovviamente vi erano corde di diverse qualità: morbie oppure morbidissime, appositamente create per non lasciare segni indesiderati e antiestetici.

     

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    Gli ultimi piani dell’MS invece sono dedicati all’abbigliamento. Dovete sapere che tantissimi personaggi degli anime (i cartoni animati giapponesi) sono dei sex symbol: i giapponesi subiscono terribilmente il loro fascino. Proprio per questo i classici vestitini succinti da camerierina (o altro) si affiancano alla tute di Rey e Asuka del celebre anime Neon Genesis Evangelion.

     

    Anche le varie confezioni che contengono gli oggetti erotici non raffigurano quasi mai donne vere ma giovani e procaci ragazze disegnate in stile manga ma soprattutto kawaii.

    Dopo aver finito di guardare uno a uno i vestitini, mi accorgo che è ora di riempire la pancia e magari di fare dello shopping tecnologico magari da Yodobashi Camera Akiba o da altri negozi super nerd di Akihabara.

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    Uscita da “pop life department. m’s” non ho potuto far altro che pensare a quanto la cultura influenzi il nostro modo di vivere la sessualità e che giudicare questo tutto questo è terribilmente sbagliato e ingiusto. Ovviamente, se passate per Tokyo, fate un giro in questo negozio perché davvero, ne vale la pena capire una nuova cultura anche attraverso la sua sessualità, per quanto complessa e incomprensibile essa possa sembrarvi.

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