Estratto dell’articolo di Andrea Palazzo per “Il Messaggero”
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E’ il complesso di tutti i famosi senza talento. Devono spiegare al mondo che la celebrità non è mai gratis. A svelare il lato oscuro del suo successo, stavolta è Paris Hilton: “Se ho giocato con la maschera della bionda svampita, era solo per dimenticare gli orrori del passato”, così si racconta, a 42 anni, nell’autobiografia “Paris-The Memoir” (edita da Harper negli Usa) […] L’attenzione morbosa dei media esplose nel 2004 con il famigerato video hard lanciato su internet contro la volontà di Paris dal fidanzato di allora. “Dopo quell’esperienza non sono più riuscita per anni ad avere una normale vita sessuale, non mi fidavo di nessuno”, ricorda la Hilton, che in epoca pre-MeToo fu bersaglio di gag sghignazzanti e attacchi misogini.
libro paris the memoir
“Volevo solo essere famosa e piacere a tutti – dichiara - così la gente avrebbe comprato i prodotti che sponsorizzavo”. D’altronde il nonno Barron l’aveva fatta fuori dall’asse ereditario nel 2007 perché non apprezzava il suo stile di vita e lei, da vera “self-made woman”, ha messo in piedi un patrimonio di 300 milioni di dollari tra profumi e cosmetica, ben prima di Instagram e TikTok. Ora Paris proclama “è arrivato il momento di raccontare la mia verità, svelando le sue confessioni intime” […].
E nel libro scritto insieme al ghostwriter Joni Rodgers scopriamo abusi, disagi comportamentali e un’adolescenza passata in istituti correttivi che sembrano campi di prigionia.
[…] Si fa fatica, però, a non immedesimarsi nelle ansie dei genitori che se la vedevano tornare all’alba ogni giorno e stupisce che lei neghi in modo risoluto di aver mai assunto droghe. Come in un romanzo d’appendice, l’unica alternativa per un’adolescente fuori controllo è il collegio. Ma i due anni passati in comunità terapeutiche per teenager problematici sembrano la trama di un film horror.
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Rigidi programmi di rieducazione che implicavano sevizie psicologiche, ammanettamenti, violenze e umiliazioni. “Volevano farci il lavaggio del cervello”, racconta Paris che ricorda le suppliche ai genitori di portarla via, mentre gli arcigni istitutori raccomandavano ai familiari di non farsi impietosire dalla ragazzina bugiarda.
“Lavorerò solo per avere successo e fare in modo che nessuno controlli mai più la mia vita”. A sentire Paris, la creazione del personaggio della party girl senza cervello è stata la terapia per superare il trauma di quell’isolamento coatto.
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[…] Come sempre, Paris rivendica per sé lo status di vittima, attenta a evitare ogni responsabilità personale rispetto ai guai in cui si cacciava: “Con questo libro ho ripreso in mano la narrazione della mia vita, ero stufa delle manipolazioni dei media”, […]
un furbo riposizionamento della businesswoman per farle fare il grande salto come paladina del MeToo e dei teenager vulnerabili. E alla fine del libro non è davvero chiaro dove finisca il personaggio e dove inizi la donna, ma forse non lo sa più nemmeno lei.
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