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    AGENZIA MASTIKAZZI: “LA PASTICCERIA COVA RILEVATA DA LVMH”. SUL GRAVE AVVENIMENTO DOLCIARIO, DOLENTI PAGINATE SUI GIORNALI DEL NORD. SPETTACOLARE ESEMPIO DI COME UN ESOSO CAFFÈ FREQUENTATO DAI DIRETTORI DEBBA DIVENTARE NOTIZIA PER LE MASSE


     
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    1. COVA, PASSA A VUITTON IL SALOTTO DI MILANO
    Egle Santolini per "La Stampa"

    Altro che colpo di scena, bastava ripassarsi un po' di Storia. La pasticceria Cova, quella chic di via Montenapoleone, finisce al polo del lusso francese Lvmh? E la holding di Bernard Arnault batte sul filo di lana Prada, che sembrava essersi aggiudicata il takeover?

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    In fondo era già tutto scritto dal 1817, anno della fondazione: perché il signor Antonio Cova, prima dell'apprendistato da «ofelée» in un forno di Galleria De Cristoforis, era stato soldato di Bonaparte nella Repubblica Cisalpina. Dunque diamo a Napoleone (o alla Francia) quel che di Napoleone era, con tanti saluti all'orgoglio nazionale e qualche rimpianto per l'incapacità italiana di fare sistema: cambia bandiera il caffè che piaceva a Giuseppe Verdi e ai cospiratori delle Cinque Giornate, citato da Hemingway in «Addio alle armi» e prediletto in tempi più recenti pure da Mario Balotelli che qui davanti posteggiava la sua Lamborghini bianca.

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    Il comunicato di Lvmh (la sigla sta per Louis Vuitton Moët Hennessy, insomma alta moda, bollicine e tutto quello che fa douce la vita) non dà cifre. Ma per farsi un'idea basti pensare che, questa primavera, ai tempi della ventilata offerta Prada, si parlò di 12 milioni di euro. Replica di Mario Faccioli, allora proprietario del marchio: «Per 12 milioni non vendo neanche una vetrina!».

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    Ritiratosi il signor Mario, i nuovi acquirenti assicurano oggi che «la famiglia Faccioli, con le figlie Paola e Daniela, continuerà a essere presente non solo nel capitale della società, ma anche nel management», così com'è avvenuto nelle acquisizioni di Fendi, di Emilio Pucci e di Bulgari.

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    Dunque continuità ed espansione internazionale, sulla scia di quel che la ditta aveva cominciato a fare in Asia già vent'anni fa, con accordi di franchising a Hong Kong, in Cina e in Giappone, e con il vantaggio della rete Lvmh. L'ingresso, par di capire, resterà su via Montenapoleone e non verrà spostato in via Sant'Andrea, come si era ipotizzato che sarebbe successo in modalità Prada.

    Ma di certo ieri all'ora del caffè (servito in tazze di porcellana con veduta ottocentesca della sede storica di piazza Scala, code pazienti davanti al bancone, prezzo in piedi 1,10 euro, un po' meno della stratosferica media meneghina entro la cerchia dei Navigli) ci si chiedeva se qualcosa cambierà, e se per esempio la torta Amor alla farina gialla, così elegantemente padana, lascerà il posto ai Macaron.

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    Noto per i dolci più scenografici e i camerieri più azzimati di Milano, praticamente diplomatici con lo shaker in mano, e vagamente intimidenti quando ti porgono le tartine al salmone della casa, Cova serve tè e long drink dai tempi in cui l'happy hour non si sapeva che cosa fosse.

    Insediato dal secondo dopoguerra nell'angolo strategico fra Montenapo e Sant'Andrea, conserva la memoria storica e l'elegante logo del Cova primigenio, in piazza della Scala, distrutto dal bombardamento che abbattè il teatro. Quello era stato il locale di Puccini, dei Boito e degli Scapigliati, e prima ancora di Carlo Cattaneo e dei patrioti che combattevano contro l'Austria; Verdi ebbe la buona idea di finirci fotografato davanti, col cilindro e il giornale in mano, e così gli assicurò la gloria.

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    Atmosfere meno leggendarie per il Cova nuovo di Montenapoleone, dalle belle Anni Cinquanta come Lucia Bosè ai «bauscia» col Suv sul marciapiede; ma anche un bel po' di signore in età dalle quattro fino alle sette (secondo una tenace leggenda metropolitana, con lo Zucca di piazza del Duomo questa è anche area operativa per gigolò), e poi sempre di più turisti asiatici in falange serrata, escort slave di abbacinante bellezza, top model e pierre molto abbronzate e molto tatuate: insomma tutto l'ambaradan ambrosiano, nel bene e nel male.

    Qui si vende una crema alla nocciola che con fantasia non sbrigliata si chiama Covella, e a pranzo si serve «insalata esotica con salmone di Loch Fyne» e «milanesine impanate con rucola e pachino». Qui, soprattutto, si viene per vedere e per farsi vedere: abitudine che certo non cambierà sotto i francesi.


    2. LA SFIDA ITALICA TRA I COLOSSI TRANSALPINI
    Gianluca Paolucci per "La Stampa"

    Piace, il made in Italy. Piace al punto che i due colossi mondiali del lusso e del lifestyle - francesi entrambi - se lo comprano pezzo dopo pezzo. Gioiellerie, grandi marchi della moda, ceramiche e profumieri e, da ieri, anche una pasticceria. La presa di Cova, prestigiosa pasticceria di via Montenapoleone, è l'ultimo pezzo di una guerra che la Lvmh di Bertrand Arnault e la Kering (ex Ppr) di Francois Pinault combattono da anni dentro i nostri confini.

    Due mesi fa la battaglia era stata per Pomellato, vinta da Pinault superando il rivale. Prima Lvmh, famosa per le borse Luis Vuitton ma le cui attività spaziano dai cosmetici ai grandi vini francesi, aveva conquistato Bulgari. Sempre Lvmh aveva anni addietro rilevato Fendi. Mentre nel suo portafoglio di marchi c'è anche un altro nome storico della moda e dello stile italiano come Emilio Pucci e la colonia di Acqua di Parma. La Kering di Pinault dopo Pomellato ha rilevato dal fallimento lo storico marchio delle porcellane Richard-Ginori, ultima acquisizione italiana dopo quelle di Gucci, Bottega Veneta, Sergio Rossi e Brioni. Ah, les italiens.

     

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