Matteo Persivale per il Corriere della Sera
BOB DYLAN
Sarebbe stato brutto, a pensarci bene, se Bob Dylan avesse risposto felice alla telefonata del Comitato per il premio Nobel, magari facendo anche un po' di quella conversazione generica con i fan nella quale i personaggi famosi, dopo una vita passata a contatto col pubblico, sono quasi tutti molto bravi: «Grazie, grazie», «Meraviglioso», «Oh, yes».
E' più giusto che sia andata così, che il vincitore del premio Nobel per la Letteratura 2016 abbia delegato tutto ai suoi collaboratori «che sono stati molto educati», si sono affrettati a precisare da Stoccolma.
Però Odd Zschiedrich, direttore amministrativo dell' Accademia ha ammesso che «abbiamo smesso di cercare di parlargli di persona, abbiamo detto tutto quello che era necessario al suo manager e amico, sa che siamo ansiosi di avere una conferma da lui, ma non abbiamo sentito nulla in merito». La cerimonia si farà comunque, il 10 dicembre, con o senza di lui: il premio è suo.
Eppure è normale che Dylan abbia se non esattamente deluso almeno eluso i fans che gli hanno regalato il Nobel: non fa altro da cinquantaquattro anni a questa parte.
Una vita - e una carriera - straordinaria passata a giocare a nascondino con le aspettative altrui. Elettrico quando il suo popolo lo voleva menestrello politicizzato con la chitarra acustica (e si prese del «Giuda» da un fan col quale litigò, o forse no - le leggende sono belle per quello).
BOB DYLAN 2
Cristiano evangelico convertito al gospel accantonando la religione dei padri, poi di nuovo ebreo. Distaccato dalla politica negli anni 80 della rivoluzione reaganiana quando la sinistra avrebbe voluto una sua parola di appoggio. Paladino di Israele negli anni dei cortei con la kefiah.
Ma nel 1991, mentre l' America di Bush padre sventolava il bandierone per le truppe che stavano combattendo in Iraq, Dylan andò a ritirare il Grammy alla carriera gelando la platea (e i telespettatori) con un discorso breve e criptico, tra il rabbino medievale e il maestro zen: «Mio padre era un uomo semplice, non mi ha lasciato molto ma questo mi ha detto: figlio mio, potrai anche diventare così abbietto che perfino i tuoi genitori ti abbandoneranno, ma Dio crederà sempre nella tua capacità di cambiare». Poi attaccò «Masters of War», «I signori della guerra», come uno schiaffo. Di uno dei suoi critici più acuti, Greil Marcus, Dylan ha detto «non ha capito nulla».
BOB DYLAN 3
Quando ha pubblicato il primo volume delle sue memorie ha giocato al gatto e al topo con le aspettative dei lettori, liquidando in tre righe episodi centrali della sua carriera come l' incidente motociclistico del '66. Ha continuato a camuffare le sue canzoni più famose dal palco del Neverending Tour, il tour senza fine, gli arrangiamenti come un passamontagna. La voce sempre più arrochita, quasi un rantolo o un rasoio elettrico in fase di scaricamento, a seconda delle serate.
Ha suonato per il Papa (quasi) allegro e insolitamente ben rasato deludendo una generazione di ex protestatari, si è esibito in uno spot grottesco - con modelle in lingerie - per una marca di reggiseni, ha prestato le sue canzoni a una banca svizzera per gli spot.
BOB DYLAN LIKE A ROLLING STONE
Ha snobbato anche Obama che l' aveva invitato a suonare alla Casa Bianca, rifiutando la tradizionale foto ricordo (d' altronde Dylan nel 1965, quando Obama aveva quattro anni, immaginava in una canzone il Presidente degli Stati Uniti «nudo», senza potere).
Proprio Obama l' ha capito meglio della maggior parte degli aedi dylaniani: «Finisce la canzone, scende dal palco, viene da me in prima fila, mi stringe la mano, mi fa un sorrisetto piegando leggermente la testa e se ne va. Fine. Ma è così che vuoi Dylan, no? Non lo vorresti mai sorridente e gigione. Lo vuoi vedere un po' scettico su quel che lo circonda».
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