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    È SCOPPIATA LA BOLLA DEL CO-WORKING – WE WORK, COLOSSO AMERICANO CHE OFFRE UFFICI E SPAZI DI LAVORO CONDIVISI, NEL 2019 VENIVA VALUTATA 49 MILIARDI DI DOLLARI. ORA È SCESA A 60 MILIONI ED È VICINA ALLA BANCAROTTA. IL TITOLO PRECIPITA A WALL STREET (-50%) – AD AFFOSSARE L'AZIENDA SONO STATI PRIMA IL COVID E I LOCKDOWN, POI IL CARO AFFITTI DEGLI UFFICI, SCOPPIATO CON IL POST-PANDEMIA NEGLI STATI UNITI – PER CONQUISTARE LA LEADERSHIP NEL SETTORE, WE WORK AVEVA PRESO GRANDI SPAZI A PREZZI FOLLI E ORA PAGA IL CONTO...


     
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    Estratto dell’articolo di Rita Querzè per il “Corriere della Sera”

     

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    Era il 2019 quando We Work, colosso del coworking con sede a New York, veniva valutata 49 miliardi di dollari. Ora è scesa a 60 milioni ed è vicina alla bancarotta. A dare l’annuncio il Wall street journal. Lo scorso agosto era stata la stessa WeWork a rendere nota l’incertezza sulla continuità aziendale: perdite nel semestre pari a 696 milioni di dollari a fronte di liquidità a quota 670.

     

    A mettere in crisi il gruppo l’effetto pandemia sul mercato degli uffici. Negli Usa lo smart working è diventato strutturale dopo l’emergenza Covid in quota maggiore rispetto all’Europa. In Italia, poi, siamo sotto la media europea, con il 12% dei lavoratori in smart working contro il 22% nell’Unione. «Non a caso il business di WeWork nel nostro Paese funziona», osserva Pietro Martani, fondatore nel 2014 del coworking Copernico (poi ceduto al colosso Iwg) e ora sul mercato degli spazi per ufficio con la start up Stella.

     

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    «È vero che il settore dei coworking sta cambiando pelle dopo la pandemia ma contano anche gli equilibri dei singoli gruppi — continua Martani —. WeWork ha giocato il tutto per tutto per conquistare la leadership, anche prendendo in affitto spazi a prezzi più alti della media e con contratti a lungo termine. Il calo dei valori delle locazioni pagati dalle aziende sui mercati anglosassoni ha spiazzato il gruppo».

     

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    Ieri il titolo di WeWork è crollato a New York perdendo il 50% a metà seduta. Da qui al 2030 le stime più prudenti parlano di una riduzione degli spazi per uffici almeno del 10%.

     

    A cambiare il mercato non è soltanto lo smart working. «Sono le stesse aziende a chiedere spazi flessibili e riconfigurabili a seconda delle esigenze. La domanda di uffici diminuisce in media ma non è per tutto uguale. Gli spazi in classe A sono richiestissimi, mentre restano vuoti quelli in classi energetiche più basse», aggiunge Martani.

     

    […]  Morale: il coworking come era nato 20 anni fa è superato. Ma nuove forme di uffici ibridi e flessibili stanno prendendo piede.

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