?Although Chinese journalist #ZhangZhan was able to share a video today confirming her release from prison after four years, we're worried about her situation under strict surveillance. Our call for her full & unconditional release remains urgent. #FreeZhangZhan pic.twitter.com/UBluQCU6Ze
— RSF (@RSF_inter) May 21, 2024
Estratto dell'articolo di Guido Santevecchi per il "Corriere della Sera"
zhang zhan annuncia la sua liberazione
È fuori dal carcere Zhang Zhan, la «citizen journalist» condannata a quattro anni in Cina per aver raccontato con un blog i giorni tragici di Wuhan all’inizio del 2020, dopo l’esplosione del Covid-19. Zhang è stata rilasciata ma non ha riacquistato la libertà di parola e di movimento. Ha scontato interamente la pena, ma da quando è uscita dalla sua cella, il 13 maggio, non è potuta tornata a una vita normale. Il primo messaggio, un video di ventinove secondi trasmesso ad alcuni amici, è filtrato solo otto giorni dopo.
In una luce fioca, Zhang appare in pigiama rosa, nel corridoio di un palazzo. Saluta, fa un sorriso timido, parla a voce bassa: «La polizia mi ha rilasciato alle 5 del mattino del 13 maggio e mi ha mandato a casa di mio fratello, a Shanghai. Grazie a tutti per l’aiuto e la preoccupazione». A questo punto la donna fa una pausa, trattiene le lacrime, si morde il labbro. Poi conclude: «Vi auguro ogni bene... non c’è molto altro che posso dire».
la blogger zhang zhan
Il video è stato pubblicato da Reporters sans frontières, organizzazione che difende la libertà di informazione e in questi anni ha seguito il caso della giornalista indipendente condannata per «aver provocato litigi e problemi»: questa formula viene usata dai tribunali cinesi per indicare chi ha messo in dubbio pubblicamente la linea ufficiale delle autorità. Ren Quanniu, avvocato che aveva difeso Zhang prima che gli fosse ritirata la licenza nel febbraio 2021, dice che la donna è solo «relativamente libera», perché la polizia continua a sorvegliarla. […] «Non posso dire altro», la frase con cui Zhang conclude il suo saluto, dice tutto sulla sua situazione. «Una libertà parziale non è libertà», commenta Reporters sans frontières.
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