1. DATI CHE MANCANO E PROGRESSI IMPROVVISI PER CAMBIARE «ZONA» I SOSPETTI SULLE REGIONI
Fabrizio Caccia e Carlo Macrì per il ''Corriere della Sera''
VINCENZO DE LUCA - MEME
E al secondo giorno di lockdown ecco che già la Calabria, da appena 24 ore in zona rossa insieme a Lombardia, Piemonte e Valle d'Aosta, oggi riunisce con urgenza il consiglio regionale. All'ordine del giorno fissato dal presidente Mimmo Tallini (Forza Italia) la richiesta da inviare al premier Giuseppe Conte di trasformare la zona rossa calabrese in arancione. Questo in virtù dei dati: sono solo 15 i ricoverati Covid attualmente in terapia intensiva, il 6% dei posti disponibili. I territori non ci stanno: «Non è che in Italia va tutto bene tranne che in 4 regioni», ha protestato ieri, ospite di Omnibus su La7 , anche il governatore del Piemonte, Alberto Cirio.
«Nel report della settimana scorsa, su cui si è basato il governo, 5 regioni avevano una percentuale di rischio non calcolabile non avendo consegnato tutti i dati», l'accusa del presidente. Numeri vecchi, dati incompleti e tante stranezze: come in Campania, da ieri zona gialla, dove fino al 19 ottobre i posti disponibili di terapia intensiva erano 113, poi da un giorno all'altro sono diventati 227 e da ieri, cioè proprio il giorno in cui è scattata la differenziazione cromatica, siamo passati a 590. Boom. Non che il lockdown in Calabria sia rispettato alla lettera (tra Reggio Calabria e Crotone parecchie serrande sono rimaste alzate) e oltretutto ci sono 4 mila tamponi bloccati a Catanzaro, ancora in attesa di essere processati per carenze organizzative.
meme vincenzo de luca 2
Da ricordare, inoltre, che la Sanità calabrese è commissariata dal 2010 e lo sarà almeno per altri 2 anni (il decreto del governo è stato da poco emanato). Giusto a tre giorni dalla fine della consiliatura poi (dal 10 novembre rimarrà in carica solo per gli affari ordinari in vista delle nuove elezioni) il governatore pro tempore Nino Spirlì (Lega) ha avuto il tempo di assumere 9 persone che faranno parte della sua struttura. Autista, amministrativi, segretari... Tra le 5 Regioni citate ieri dal presidente del Piemonte, Cirio, c'è la Valle d'Aosta, dichiarata anch' essa zona rossa, che però non si lamenta. Anzi: «Se non lo avesse fatto il governo avremmo deciso noi per la chiusura», dice il presidente della Regione, Erik Lavevaz.
GIUSEPPE CONTE ROBERTO SPERANZA
«Effettivamente ci sono state problematiche nella trasmissione dei dati all'Iss - ammette lui stesso - però va sottolineato che solo alcuni sono stati inviati con qualche giorno di ritardo o parzialmente ma si tratta di dati secondari, ad esempio quelli che riguardano il numero di focolai. Non sono stati questi numeri ad aver cambiato il profilo epidemiologico della nostra regione». L'assessore alla Sanità valdostana, Roberto Barmasse, spiega che i positivi sono passati da 1.246 (il 3 settembre) a 3.400 (il 5 novembre) con un'incidenza della malattia di 751 casi su 100 mila abitanti. Un dato che ha creato problemi alle strutture sanitarie ma anche alla gestione dei famosi dati.
«La Valle d'Aosta - ribadisce l'assessore - è finita in zona rossa non per la mancata o incompleta trasmissione delle statistiche, ma perché la situazione è seria». Pure la Liguria è tra le 5 regioni che non hanno trasmesso tutti i numeri al ministero della Salute e all'Istituto Superiore di Sanità. In quest' elenco ci sarebbero anche Basilicata, Abruzzo e Veneto. Tutte zone gialle, risparmiate dal lockdown. «Nella nostra piattaforma manca il dato di un indicatore? Comunque andava nella stessa direzione degli altri 3 indicatori previsti, non sarebbe cambiato niente», tagliano corto da Genova.
NINO SPIRLI'
Anche dalla Basilicata risposta secca: «Tutto quello che ci è stato richiesto da Roma noi lo abbiamo trasmesso». Francesca Russo, a capo del sistema del Veneto e coordinatrice della prevenzione sanitaria di tutte le Regioni, addirittura rilancia: «Ho appena inviato una lettera all'Iss e al ministero. Il sistema di monitoraggio va cambiato, era stato pensato per la Fase 2 ma ora siamo entrati nella Fase 3. Per esempio la percentuale dei tamponi positivi rispetto ai tamponi fatti: oggi oltre a quelli molecolari si sono aggiunti i tamponi rapidi, la proporzione per forza di cose muta». E il Veneto in zona gialla? «Perché è vero che il virus sta circolando in tutta la regione - risponde pronta la dottoressa Russo - ma è pienamente controllabile dal nostro sistema sanitario e da quello territoriale».
2. CINQUE REGIONI SU 20 IN RITARDO. I CRITERI FAI-DA-TE SU TAMPONI E RICOVERI GLI EX PRESIDENTI DELL'ISTAT: "INCREDIBILE NON AVERE IL VERO TASSO DI CONTAGIO"
Giuseppe Salvaggiulo per ''la Stampa''
coronavirus valle d aosta
Se si sceglie di gestire la pandemia affidandosi ai numeri, occorre che siano precisi, omogenei, aggiornati. In Italia no. «Affrontiamo la pandemia con gli strumenti della peste del Manzoni», dice Corrado Crocetta, presidente della Società italiana di statistica. O «con una benda sugli occhi» (Fabio Sabatini, economista, La Sapienza) o «come mosche accecate» (Enrico Bucci, biologo, università di Philadelphia). La suddivisione cromatica dell'Italia è stata decisa il 5 novembre su dati relativi alla settimana 18-25 ottobre. «Anche a noi ha lasciato un po' perplessi la classificazione di alcune regioni», scrive il collettivo di ricercatori StatGroup-19, nato per studiare l'epidemia. «La Valle D'Aosta riporta un Rt compreso tra quasi zero e circa 4, il Molise tra meno di 1 e quasi 3,5», come dire da tempesta siberiana a caldo equatoriale.
FABIO SABATINI 1
Almeno ci fossero tutti, i dati. Cinque regioni su venti non rispettano le regole. La Campania ha «un forte ritardo di notifica dei dati» che li rende «inaffidabili», dice l'Istituto superiore di sanità. «Dati incompleti» anche in Liguria e nella provincia di Bolzano. La Valle d'Aosta non li ha inviati per tre settimane, per il presidente della Regione Erik Lavevaz sono «alcune problematiche perché si sono creati colli di bottiglia». I principali parametri di rischio del Veneto sono «non valutabili» per «tre giorni di blackout telematico» che il governatore Zaia spiega così: «Un inghippo informatico, è sempre un casino con questi computer», diavolerie che prima o poi toccherà imparare a usare. Non parliamo dell'affidabilità dei dati. Che vengono mandati da medici, ospedali e laboratori alle Asl. Da queste alle Regioni. Da queste alla Protezione Civile e al ministero. La Calabria utilizza il fax. «Metodo cartaceo o semiautomatico», ha spiegato in un convegno Silvio Brusaferro, presidente dell'Iss.
Qualcuno osa il foglio excel, ma non c'è un modulo standard. Quindi a Roma devono riversare i numeri su un software unico. Non esiste nemmeno un protocollo comune, per cui la Calabria può scorporare i pazienti «ventilati ma non intubati» dal calcolo dei posti occupati in terapia intensiva, abbassando il dato, d'emblée, da 14 a 2. Sui tamponi regna il fai-da-te. Nessuno è in grado di sapere se nel computo dei positivi ci sono anche i tamponi ripetuti più volte sulla stessa persona. L'ospedale Sacco di Milano li ha stimati in circa il 15%. Ma nelle statistiche questo non risulta. Né sappiamo a quando si riferiscono i tamponi positivi. In Germania il sistema garantisce 3 giorni tra richiesta e referto. In Italia la media è 8 ma ogni Regione si arrangia come può.
SILVIO BRUSAFERRO
Alcuni positivi del bollettino odierno sono probabilmente già usciti dalla quarantena. Secondo Bucci, il fatidico indice Rt, «calcolato sui sintomatici con ritardo di due settimane e senza tener conto dei ritardi di trasmissione è una fandonia». Al di là del teatrino Regioni-governo, è tutto il sistema che non sta in piedi. Non che i dati scarseggino. Ce ne sono di inutili ma mancano quelli necessari. Gilberto Corbellini, docente di storia della medicina alla Sapienza, parla di «entropia informativa»; la Società di statistica medica e epidemiologia clinica denuncia «un'infodemia».
In generale, più i dati sono aggregati meno sono utili «per stabilire relazioni causali e prendere decisioni razionali», spiega Alfio Quarteroni, matematico del Politecnico di Milano. La scuola, per esempio. «Quanti sono i contagiati e quale il tasso di contagiosità (quanti ne contagia ogni contagiato)?». Boh. Così come non sappiamo, al di là del saldo giornaliero, quanti entrano ed escono dalle terapie intensive, e perché: sono curati meglio sul territorio? Non ci sono più letti? Guariscono? Muoiono? Un dato essenziale, spiegano Giorgio Alleva e Alberto Zuliani, ex presidenti dell'Istat, è il tasso di contagio sulla popolazione. «Sembra incredibile, ma a otto mesi dai primi casi non si conosce e quindi non si tiene sotto controllo». Come la app Immuni, l'indagine sierologica dell'Istat è stata uccisa in culla, fermandosi a metà del campione previsto.
Giorgio Alleva
«Ci sono state carenza organizzative», dicono Alleva e Zuliani. Che hanno proposto un sistema di monitoraggio su un campione di almeno 10 mila italiani per sapere con cadenza settimanale tasso di contagio ed evoluzione dell'epidemia quanto a sintomi, tipo di assistenza, eventuale ricovero, guarigione o morte, patologie pregresse, tutto diviso per età e genere. A parte l'associazione radicale Luca Coscioni, non se li è filati nessuno.