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    UNA GIORNATA NELLA LADISPOLI DI LAURA ANTONELLI. "ORA TUTTI VERRANNO A SALUTARLA, MA FINO A IERI QUI NON C'ERA NESSUNO. VA BENE IL RISPETTO, MA CI VUOLE DECENZA" - LE ULTIME PAROLE 'PUBBLICHE': “NON HO BISOGNO DI SOLDI. VIVO CON QUANTO MI BASTA, IL TEMPO DEL LUSSO È FINITO PER SEMPRE. NON MI SERVONO PIÙ PANFILI, VILLE E BELLA VITA. PASSO LE MIE GIORNATE LEGGENDO, PREGANDO E CERCANDO DI AIUTARE IL PROSSIMO” - GIUSTI: "HA FATTO LA FINE DI MARILYN E MOANA. DISTRUTTA DAL DESIDERIO MASCHILE"


     
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    1. LAURA ANTONELLI, MORTA SOLA E SENZA PIÙ MALIZIA

    Malcom Pagani per il “Fatto Quotidiano

     

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       In via Napoli ci sono una lavanderia, una rivendita di pasta all’uovo e un’orologeria. Laura Antonelli faceva scorrere le ore al numero 27 barra bis. I mattoni rossi. I parasole a contrastare il caldo. Le parabole indirizzate al cielo di Ladispoli. Al primo piano di una palazzina affacciata su una strada stretta viveva l’attrice che era rimasta sola e, come ti dicono i pochi che transitando veloci elemosinano due parole, “sola voleva restare”.

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       Laura Antonelli se n’è andata qui all’inizio dell’estate. Dopo aver perso ville, miliardi e libertà e aver riguadagnato il solo lusso della reclusione volontaria. Dietro la tenda bianca a fiori, oltre le tapparelle ocra, il balcone con la caldaia arrugginita a vista e le scritte con il pennarello di qualche amore lontano tra Massimo e Alessia, c’era una donna che nessuno più conosceva. Morta in un punto imprecisato della notte.Trovata esanime a un’ora acerba del mattino dalla badante che il Comune le aveva messo a disposizione.

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    E –giurano i pochi giornalisti a caccia di dettagli compatiti a mezza bocca dai passanti: “Che brutto mestiere fanno, io non ce la farei mai a suonare ai campanelli” – forse costretta all’ultimo oltraggio dell’esame autoptico nonostante la certezza dell’arresto cardiaco. Si era spogliata di tutto e ogni battito di cuore si era vista togliere di dosso dalla vita, Antonaz Laura poi diventata Antonelli, esule istriana del 1941precipitata con la sua  bellezza sul tendone di un cinema che l’aveva usata per colorare il proprio circo.

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       Spolverando scaffali in equilibrio precario, da domatrice meno inconsapevole di quanto la divisa non facesse presagire, fece vacillare Turi Ferro e alcuni milioni di connazionali in Malizia. Prima e dopo, tra un’irruzione in Carosello bevendo Coca-Cola e una fuga con Belmondo, dimostrò di essere attrice per Visconti e per Dino Risi.

     

    In Sessomatto placava gli istinti di Giancarlo Giannini tra i canali di Venezia: “Non esser materiale, Gesù ci guarda”, poi alla mistica si dedicò davvero quando degli anni belli inghiottiti dagli errori, dalla polvere, dall’inadeguatezza, dall’ingenuità, dalle accuse sproporzionate e dalle cronache che la volevano invariabilmente pazza o dissipata, restò solo la croce da portare. Laura Antonelli la trascinava con dignità. Senza dare fastidio. Senza urlare.

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       Ascoltando Radio Maria: “I primi tempi – ti dicono dalle finestre – a voce alta. Poi sempre più bassa”. Della partita di giro che le aveva restituito interdizioni, conti bancari congelati, tutori e oblìo, non voleva ricordare niente. Non c’erano più frammenti da vedere, racconti da elargire o specchi in cui rifrangere l’immagine e anche la tv era stata regalata come molto altro: “Un giorno la vidi portare via dagli spazzini”, dice una signora bionda sinceramente dispiaciuta: “Ma è nuova, perché la gettate ?”.

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    “Non la buttiamo, la signora Antonelli non la vuole più”. Con 500 euro di pensione, una branda e le preghiere, Laura aspettava la fine a porte chiuse. L’ultima l’aveva aperta a un maresciallo dei carabinieri in una notte del ’91: “Venga, le faccio vedere la festa”.

     

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       Era stata arrestata. Lapidata come spacciatrice. Infine assolta. Consumava, Laura Antonelli. E sapeva come farsi consumare. Gianni Palmieri de L’ortica web, 20.000 copie in edicola tutte sostenute dalla pubblicità e un aggiornamento costante sulle vicende di un litorale che da Il Sorpasso ai mariti fedifraghi di Germi era stato spesso in primo piano sullo schermo di una sala, era stato l’ultimo giornalista ad incontrarla e a intervistarla.

     

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    Conosceva alcune delle persone che aiutavano quotidianamente Laura Antonelli. La conobbe. Fu lei a telefonargli: “Adesso parlo io”. Lui: “So che è incredibile, ma è la verità” tentò di sottrarsi. Poi varcò l’ingresso di via Napoli. Trovo una donna dei cui antichi tratti “si riconoscevano solo gli occhi”.

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    Conversazione sincera in cui più che al rimpianto, Antonelli guardava alla pace: “I soldi non mi servono, non ne ho bisogno. Vivo con quanto mi basta, il tempo del lusso è finito per sempre. Non mi servono più panfili, ville e bella vita. Passo le mie giornate leggendo, pregando e cercando di aiutare come posso il prossimo”.

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    Ringraziava Lino Banfi che per lei aveva chiesto invano l’applicazione della Bacchelli, sognava ancora di viaggiare lamentando le privazioni della legge, guardava con serena distanza ai passi troppo lunghi. “Sposarmi a 24 anni senza capire cosa stavo facendo. Purtroppo ho sempre seguito il mio cuore, può capitare di rivolgere il sentimento alle persone sbagliate”.

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    Davanti al cimitero, oltre il residence Miami, molto più in là del Bar Mexico che chiuse un anno e mezzo fa serrando sui vizi di Laura Antonelli persino la tentazione di un caffè al banco, una telecamera fissa l’ingresso .

     

    Oltre il cancello , proprio qui a Ladispoli , dove Carlo Verdone bramava di arrivare a Ferragosto e Diego Abatantuono arava da Attila il terreno, c’è Laura Antonelli. Nata 73 anni fa a Pola e volata via tra non pochi flagelli in un giorno di sole, malinconia e assenza di vento. L’Aurelia è un fiume di traffico e rilevatori.

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    La Torre Flavia guarda un mare nero come la sabbia. Gli aerei passano bassi verso Fiumicino. I biglietti agli amici più cari sono stati scritti. Da domani, ci sarà silenzio. Ladispoli promuoverà qualche iniziativa. “Poi tutti verranno a salutarla, ma fino a ieri qui non c’era nessuno. Ci vuole rispetto. Ma anche decenza”, dice una signora con gli occhiali. Guarda dall’alto di via Napoli. È pomeriggio. E in giro non c’è anima viva.

     

     

    2. GIUSTI: “COME MARYLIN, IL DESIDERIO MASCHILE L’HA DISTRUTTA”

    Federico Pontiggia per il “Fatto Quotidiano

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       Eterna gloria a Malizia e a Laura Antonelli . Divina creatura del nostro cinema, Venere in pelliccia di film che l’hanno costruita come sex bomb di culto e straculto”. Inizia così il (non)coccodrillo di Marco Giusti per Dagospia, ma non fatevi ingannare: “Meno male che se n’è andata, meno male che è finita la sua agonia: fossi il figlio che non ha avuto, avrei accolto così la notizia della sua morte”.

     

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    Prima del mito, prima della gloria, c’è il dolore personale, privato e lungo quasi un quarto di secolo, e il critico e teorico dello stracult non lo elude: “Era andata oltre, Laura, oltre la tortura fisica”.

       

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    Giusti, non è che le commedie sexy portano sfortuna?

       Macché, ne ha fatte pochissime, e soprattutto ha fatto tanti altri film, con Dino Risi, Sergio Corbucci: quel che le ha portato davvero sfiga, piuttosto, è l’eccesso di sguardo maschile sul suo corpo. La sua cameriera sexy veneta, la sua Venere in pelliccia hanno catalizzato gli occhi maschili negli Anni 70: questo eccesso sembra segnarla negativamente, e lei muore, si deturpa in Malizia 2000. Sembra quasi uno scherzo del destino.

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       Un femminicidio.  

     In qualche modo sì, anche perché – senza fare nomi – si sentono racconti di attori e registi… storie di  sesso avide, il suo corpo era molto esibito, il mondo maschile dello spettacolo lo voleva. Voleva Laura Antonelli, era lei la femmina più desiderata, e titoli come Il merlo maschio – peraltro film bellissimo e Malizia non facevano che accrescerne il fascino. Sì, quello della Antonelli è un femminicidio, alla maniera di Marylin e Moana.

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    Come conquistò il nostro immaginario?

       Aveva una cosa che ha fatto impazzire gli italiani: un seno pazzesco, esibito in moltissimi film, addirittura con Chabrol (Trappola per un lupo, ndr), quando Laura rubò Jean-Paul Belmondo a Ursula Andress… Aveva un corpo pazzesco, una bellezza classica e molto femminile: seno e culo mandano ai pazzi gli italiani, l’immagine di lei nuda e traditrice nel Merlo maschio è un fantasma che ossessiona il mondo maschile dei primi Anni 70. Ha fatto anche altri film, persino western – robetta, intendiamoci – ma la questione non cambiava: se non si spogliava, non esisteva.

       

    Nessuna via di fuga?

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       Nessuna, e lei stessa era consapevole del meccanismo. Del resto, era diventata una megastar, recitava per Patroni Griffi, Bolognini, Visconti, al massimo della carriera la vollero anche Risi, Comencini, Corbucci: riuscì a mischiare commedia e cinema altissimo. Eppure, anche questi maestri, questi film coltissimi la volevano sempre nuda, perché la venerazione per il suo corpo non veniva mai meno.

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     “Delitti” per cui sarebbe arrivato il castigo…

       Purtroppo sì, perché siamo in un paese cattolico e vediamo tutto in questo modo assurdo: Laura Antonelli avrebbe scontato quella malizia che in fondo aveva davvero. Già nel film di Samperi il sesso era visto in quest’ottica, lei faceva la servetta venuta dal nord.

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    Tra le persone da contattare dopo la sua morte, insieme al parroco, Lino Banfi e il fratello Claudio aveva indicato Claudia Koll.

       Come la Koll anche lei ebbe una svolta mistica, ma nels uo caso era legata a una stagione di droga, cocaina, e pazzia. Del resto, la svolta mistica era capitata anche a Moana, è l’ultima spiaggia.

       

    Laura Antonelli e Moana Pozzi: un epilogo comune?

       Moana se n’è andata che aveva ancora un’immagine bella, forte: una donna che aveva costruito il proprio mito, che aveva usato gli sguardi maschili per costruirsi un’identità e uno status di star. Al contrario, la Antonelli era stata usata e sfruttata dal cinema maschile: avevano abusato del suo corpo straordinario e poi l’avevano mollata. Come altre attrici, come la stessa Moana, aveva amanti celebri e potentissimi, eppure Laura era una star, non una pornostar: avrebbe dovuto essere meno imbarazzante, eppure le conseguenze furono devastanti. Almeno per lei.

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    Una donna triste.

       Molto triste e fragilissima: il senso di sé di Moana lei non l’ha mai avuto. Era uno sfascio, bellissima ma uno sfascio. Ursula Andress sosteneva fosse stata abbastanza furba, che per fare carriera nei primi anni…ma nel caso le ha pagate tutte. Tutte. Gli unici bravi con lei furono Risi, Comencini, Corbucci, i soli a trattarla come un’attrice, a trovarle personaggi adatti alle sue corde.

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       Sui social ora impazza il cordoglio.

       Grazie ai social i morti non sono mai stati così forti, oggi la morte non solo fa tendenza ma boom: è il meccanismo della famiglia organizzata, soprattutto, è il 900 che se ne va.

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