Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera”
palazzo di giustizia di milano
Due processi in primo grado: stessa imputata, reato (occupazione abusiva), fatto e data (una casa popolare dell'Aler di Milano nel 2017). Solo che uno finisce con condanna, l'altro con assoluzione. Non in due città diverse. Ma nello stesso tribunale. In due sezioni sullo stesso corridoio.
A 40 passi di distanza l'una dall'altra. È il segno di quanto l'informatizzazione ministeriale degli uffici giudiziari debba ancora uscire dalla retorica degli annunci: non esiste, infatti, una qualche allerta automatica che avverta i pm (prima) o i giudici (poi) di un doppione forse innescato dall'errata registrazione di più denunce dello stesso fatto. Solo il difensore può saperlo.
Ma è tenuto a fare l'interesse dell'assistito. E siccome tra sentenze contrastanti vale la più favorevole (assoluzione contro condanna, o la pena più bassa tra due condanne), ecco che nel caso accaduto a Milano, dove l'imputata era stata condannata a 4 mesi e a lasciare l'alloggio occupato, l'avvocato Marco De Giorgio ha lasciato finire il secondo processo per vedere se potesse trarne beneficio.
tribunale
Come appunto accaduto con l'assolu-zione. Il primo processo inizia l'1 aprile 2019 e termina con la condanna il 16 ottobre 2019: la giudice Amelia Managò, VI sezione penale, esclude che la 33enne madre di 5 figli versi in uno «stato di necessità», inteso non come difficoltà economica ma come «presenza di un pericolo imminente di danno grave alla persona».
Per lo stesso fatto la stessa imputata è citata a giudizio il 27 settembre 2019 davanti alla giudice Luisa Savoia, VIII sezione, dove il processo inizia il 19 ottobre 2020 e finisce il 16 giugno 2021 con l'assoluzione. L'accusa «non ha provato che l'occupazione a partire dal 2017 sia avvenuta ad opera dell'imputata»: il solo dato oggettivo che fosse in casa il giorno in cui Aler (per la casa) e Unareti (per il gas) la denunciarono non è tranciante, considerato che c'era un'altra persona di cui non è stato accertato il rapporto con la casa.
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Perciò, «in mancanza di emergenze di segno contrario», per la giudice «si deve dare credito alla versione difensiva della donna, che ha riferito di essere stata ospitata dall'amica per stare in detenzione domiciliare».