Marco Bardazzi per "La Stampa"
Ogni epoca ha il medium adatto alle pugnalate a distanza tra scrittori americani. In principio era inchiostro trasformato in veleno sulle colonne delle riviste letterarie. Poi arrivò la Tv e si adeguarono. Nell'autunno del 1959, Truman Capote prese posto nel salotto televisivo di David Susskind e, con consueta perfidia, lanciò un attacco memorabile contro Jack Kerouac e il successo che stava ricevendo «On the road»: «Nessuno di questi autori della Beat Generation ha niente di interessante da dire: la loro non è scrittura, è battere a macchina». Kerouac ne rimase profondamente turbato e non se lo dimenticò fino alla morte.
Bret Easton EllisL'era dei social network adesso ripropone lo scontro tra grandi firme, amplificato però dalla velocità del web e trasformato in un'arena digitale dagli strumenti di condivisione che ciascuno ha a portata di smartphone. Twitter primo tra tutti: anche con 140 caratteri si può fare male, soprattutto se si è abili scrittori (Capote sarebbe stato un fenomenale «twittatore»). Tra i più lesti a capirlo è stato Bret Easton Ellis, che su Twitter si è creato una platea di 335 mila «followers», ai quali dà in pasto anticipazioni letterarie insieme a provocazioni al vetriolo.
jonathan franzen david foster wallaceIeri però ha scatenato una vera e propria guerra tra bande sul Web, scegliendo di attaccare a testa bassa uno degli autori più amati in America in questi anni, per di più scomparso: David Foster Wallace. «Lo scrittore più noioso, sopravvalutato, tormentato e pretenzioso della mia generazione», è una delle definizioni che l'autore di American Psycho ha scelto per presentare DFW (come lo chiamano i fans, nello stile-messaggino nato sui cellulari degli adolescenti).
A scatenare lo scrittore californiano sono state le celebrazioni che i media americani stanno riservando in questi giorni a Foster Wallace, a quattro anni dal suicidio. Merito di una nuova biografia appena uscita di D.T. Max, Every Love Story is a Ghost Story , che ripercorre la vita dell'autore di Infinite Jest e, a detta di molti critici, lo consacra definitivamente tra i grandi della letteratura americana contemporanea.
DAVID FOSTER WALLACEEllis, leggendo il libro, è esploso contro «San David Foster Wallace», accusando chi lo adora di essere stupido, dicendosi «imbarazzato» di far parte della stessa categoria e bollando lo scrittore scomparso di aver ambito in vita a «una squallida grandezza che era semplicemente incapace di raggiungere».
Apriti cielo. Sul web i sostenitori di Foster Wallace e quelli di Ellis si sono dati battaglia a colpi di «tweets» e insulti. Non solo in America, perché il calibro dei due autori ha subito creato fazioni anche in Italia. Tra i primi a scendere in campo, anche in questo caso via Twitter, lo scrittore pratese Edoardo Nesi, un amante dell'opera di DFW nonché autore della traduzione in italiano dello sterminato Infinite Jest .
«Dopo i tuoi commenti ridicoli - ha scritto Nesi a Ellis - è ora di smettere di seguirti. Continua pure a scrivere le tue sceneggiature "mum-porno"». Iniziativa giusta, gli ha fatto eco Sandro Veronesi, perché Ellis «ha passato il segno». E anche Veronesi ha usato l'arma finale di Twitter, il «defollow», la rinuncia a leggere i messaggi che lo scrittore californiano affida al social network, spesso furbe autopromozioni a base di provocazioni.
003 david foster wallaceL'unico che ovviamente non ha potuto dire la sua è stato la vittima della sfuriata. Ma la rivista Salon gli ha concesso una vendetta postuma, andando a ripescare un'intervista in cui Foster Wallace non era tenero con il collega. American Psycho , per DFW, era al massimo «un riassunto dei problemi sociali di fine Anni 80, niente più» ed era soprattutto l'opera di chi «spende un sacco di energie a creare aspettative nei lettori, per poi godere nel lasciarli delusi: coccola il sadismo dell'audience per un po', ma alla fine è chiaro che il vero bersaglio del sadismo è il lettore stesso».
001 david foster wallaceFoster Wallace, come Kerouac, avrebbe probabilmente avuto problemi a usare al massimo la potenza di Twitter, uno strumento decollato in pieno solo dopo la sua morte (anche se Barack Obama, in quel settembre 2008, lo utilizzava già per diventare Presidente).
La capacità di DFW di decodificare il desiderio d'infinito dell'uomo in periodi talvolta di dieci pagine, senza un punto, mal si sarebbe conciliata con lo spazio angusto di 140 battute. Sicuramente però avrebbe raccontato da maestro le pulsioni umane che esplodono nel mondo dei social network. E ne avrebbe avuto un giudizio più benevolo di quello un po' snob di Jonathan Franzen, che ha definito Twitter «il medium più irritante e irresponsabile». Peccato per Franzen: ieri si è perso una giornata che valeva un racconto.