Concetto Vecchio per la Repubblica
«Un borghese diventato comunista», tempo fa Alfredo Reichlin, morto ieri notte a 91 anni, si era definito così. Il padre era stato podestà a Barletta, il nonno, un industriale svizzero, agli inizi del Novecento aveva aperto in Puglia una fabbrica chimica, eppure Reichlin da ragazzo aveva scelto il Pci, perché rappresentava un orizzonte di libertà.
REICHLIN
Ora, se si prova a guardare indietro, alla lunga vita di questo importante dirigente politico della sinistra italiana, si ha l’impressione di compiere un viaggio avventuroso dentro tutte le temperie del Novecento, il secolo breve: partigiano nella Brigata Garibaldi, l’attentato di via Rasella, l’amicizia con i fratelli Luigi e Giaime Pintor, conosciuto il primo sui banchi del Liceo Tasso a Roma; Togliatti, Berlinguer, Ingrao; sette volte deputato, la direzione dell’Unità, dove entra giovanissimo a guerra finita, e dove diventa direttore nel 1956, l’anno dell’invasione in Ungheria, prima dell’estromissione nel 1962 perché ritenuto troppo ingraiano.
Togliatti dapprima lo manda in Sudamerica, poi lo dirotta nella natia Puglia; Reichlin ha già 40 anni, e ricomincia da dirigente della locale federazione, catapultato nel fuoco delle lotte dei braccianti. Qui conosce Giuseppe Vacca, Biagio de Giovanni, “la via pugliese al socialismo”, che Lucio Colletti, con lingua affilata, definirà l’école barisienne; ma è al termine di quell’esperienza vivida, che Reichlin potrà dirà: «C’è più socialismo in una coop emiliana e pugliese che in tutta l’Unione Sovietica».
REICHLIN BERLINGUER MAGRI
All’epoca queste battute taglienti rimanevano confinate nei corridoi di Botteghe Oscure, e non è un caso che a rivelarla fu, molti anni dopo, Miriam Mafai in “Botteghe Oscure addio”. Proprio con Mafai e Vittorio Foa scriverà nel 2002 una confessione nell’epistolario “Il silenzio dei comunisti”: la disamina di un mondo che non aveva mai fatto fino in fondo i conti con il proprio passato, e che Luca Ronconi portò a teatro.
REICHLIN D'ALEMA
Dopo la morte di Enrico Berlinguer, di cui fu stretto collaboratore, nel giugno 1984 si pensò anche a lui come successore per il ruolo di segretario del Pci, un partito di massa da oltre due milioni di iscritti. «Mi ritengo un po’ snob. Non so se sia un pregio o un difetto. Quello che so è che la politica la fa chi crede fortemente in se stesso. Su di me ho avuto più di un dubbio», spiegò di recente, ed è una risposta al perché non toccò a lui.
Sposato con Luciana Castellina in prime nozze (la coppia avrà due figli, Pietro e Lucrezia), Reichlin raccontò così la fine di quell’amore ad Antonio Gnoli: «Fu la scoperta della felicità. Luciana era libera da tutto. Una libertà che non avevo mai conosciuto. Furono anni straordinari e molto dolorosa la separazione. Almeno così io la vissi».
REICHLIN SCALFARI
In seconde nozze, sposò Roberta Carlotto, «una moglie splendida, una vita felice». Aderì alla svolta di Occhetto nell’89, fu uno dei fautori della segreteria D’Alema, e sostenne il Pd, rimanendo fino alla fine nel cuore del dibattito. Due anni fa la sua proposta del Partito per la nazione, e non della nazione, come ebbe a precisare, alimentò la discussione su cosa debba essere oggi un partito di sinistra.
luciana castellina
Il suo ultimo pezzo, uscito il 14 marzo, sul sito internet “Nuova atlantide” è un grido di dolore di un uomo che si confronta con un mondo irriconoscibile, ma cui non fa difetto la lucidità politica. Un mondo, avverte, che corre il rischio di una nuova Weimar. «Mi sento di dover dire che è necessario un vero e proprio cambio di passo per la sinistra e per l’intero campo democratico. Se non lo faremo non saremo credibili nell’indicare una strada nuova al paese».