Ernesto Assante per repubblica.it
arctic monkeys
“Adesso, arriva lui”... intona Alex Turner, durante il concerto, per un paio di volte, citando Mina e usando le parole di L’importante è finire di Cristiano Malgioglio, per introdurre qualche canzone. Omaggio all’Italia (qualcuno avverta Malgioglio dell’inatteso tributo) e alla canzone italiana in una serata, quella di apertura del tour italiano degli Arctic Monkeys alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica, che è stata, davvero, trionfale per la band inglese. Una ventina di brani sono bastati alla band di Alex Turner, Jamie Cook, Nick O’Malley e Matt Helders (coadiuvati da altri musicisti fino ad arrivare ad essere otto in tutto) per conquistare il pubblico romano che ha affollato con entusiasmo la Cavea tributando alla formazione un meritatissimo successo.
Mina-Mazzini
Meritato perché, come gli Arctic Monkeys hanno ampiamente dimostrato in poco meno di un’ora e mezzo di concerto, sono una delle band che meglio ha saputo dare un senso al rock degli anni Duemila, piantando i piedi saldamente nel presente, senza nostalgia per il passato ma con grande attenzione a tutto quello che c’è stato prima di loro. Il loro, infatti, è un concerto, non uno spettacolo, a farla da padrone è la musica, sempre in primo piano, non ci sono effetti speciali, non ci sono grandi sorprese, alla fin fine persino Alex Turner è un frontman sufficientemente calibrato che concede poco all’immagine. E la musica dei Monkeys è davvero notevole, un perfetto ponte tra quello che è stato e quello che potrebbe essere, un catalogo di emozioni che non resta mai legato ad una formula, ma che si arricchisce costantemente di nuovi spunti, di nuove idee.
arctic monkeys
L’ultimo album della band, Tranquility Base Hotel & Casino (cinque dei brani nuovi eseguiti durante la serata), illustra bene il loro modo di fare i conti con la storia del rock e allo stesso tempo di evolvere: sonorità meno chitarristiche (e in concerto le tastiere si moltiplicano), una scrittura che punta maggiormente sull’uso della melodia e su atmosfere più riflessive, una sorta di citazione degli anni Settanta e del rock classico che di classico in realtà ha l’approccio e mai il suono. Di “vecchio”, in concerto, non c’è nulla, gli Arctic Monkeys interpretano il rock degli anni Duemila con un’energia e una passione che poche altre band hanno oggi allo stesso livello, riuscendo a far salire l’adrenalina nei momenti giusti, e a costringere il pubblico all’ascolto attento in altri.
malgioglio
Il concerto tiene un ritmo serrato, la band non concede grandi pause, Turner sembra particolarmente contento, scherza con il pubblico, canta in maniera convinta e guida la band in un repertorio che tiene presente la storia del gruppo ma anche non è basato solo sul 'greatest hits'. Lui è il cuore del gruppo, anche se Helders, O’Malley e Cook non sono da meno, governa la scena con sicurezza, ma anche con sciolta tranquillità, gioca alla rockstar in maniera contenuta, quando serve e quando deve, per il resto lascia che sia la sua voce a far sussultare chi ascolta.
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