Francesca Monzone per “La Stampa”
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Vittorio Adorni è stato un uomo importante nella vita di Eddy Merckx e la sua scomparsa ha profondamente turbato il Cannibale. Entrambi sono stati campioni del mondo, rivali ma soprattutto amici leali e insieme sono stati gli artefici di una delle rivoluzioni ciclistiche più importanti: quella del 1968 quando Merckx divenne il primo belga nella storia del ciclismo a vincere il Giro d'Italia e Adorni conquistò il Mondiale.
Il successo nella corsa rosa arrivò grazie al parmense, che insegnò a Eddy ad essere meno impulsivo e più calcolatore, mostrandogli come correre e vincere in Italia. Tra i due campioni c'era un rapporto speciale che si è interrotto con la morte dell'ex campione del mondo alla vigilia di Natale.
Merckx ha saputo immediatamente della scomparsa di Adorni, attraverso la telefonata e il messaggio whatsapp di Italo Zilioli suo compagno di squadra alla Faema e di Marino Vigna, il suo vecchio direttore sportivo. «Ho provato immediatamente una grande tristezza e ho ripensato al passato».
Merckx, il 2022 è stato un anno drammatico per lei. Dopo la scomparsa di Van Springel ad agosto, anche l'addio ad Adorni.
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«Sono state due persone molto importanti per me. Herman era belga, eravamo amici speciali e abbiamo corso alla Molteni. Mentre con Vittorio ho corso in Faema. Mi ha insegnato tantissimo, per lui ho sempre avuto grandissimo rispetto. La sua scomparsa mi ha profondamente turbato e rattristato».
Quando vi siete incontrati l'ultima volta?
«È passato del tempo, non ricordo bene. Ma ci siamo sempre tenuti in contatto e anche quest' anno ci siamo sentiti».
Il primo ricordo che le è tornato in mente?
«Un ritiro fatto insieme in Calabria. Eravamo compagni di stanza quell'anno e lui mi parlava tanto, mi ha insegnato i segreti del ciclismo. Era il mio "Professore". Avevo iniziato a chiamarlo così».
Che insegnamenti le aveva dato?
«Lui ne sapeva più dei belgi, aveva un'etica incredibile e mi aveva spiegato come alimentarmi nel modo corretto e anche come guardare la gara. Mi diceva che la sera dovevo andare a dormire con la fame, perché così il giorno dopo in salita sarei andato più veloce».
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Con Adorni siete stati rivali e colleghi. Che ricordo ha del Mondiale di Imola del 1968?
«Correvamo insieme nella Faema, ma al Mondiale eravamo per forza avversari, ognuno con la maglia della propria nazionale. Correvamo contro, arrivò la fuga con Van Looy e noi rimanemmo chiusi. Vittorio andò via e capimmo che la vittoria sarebbe stata sua. Fu il più forte quel giorno».
Tra voi c'era un legame forte e la sua vittoria al Giro del '68 nella tappa con le Tre Cime di Lavaredo, è stato uno dei momenti più esaltanti della sua carriera.
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«Impossibile dimenticare quel giorno. Avevo una grande voglia di vincere ma Vittorio che era con me mi diceva di aspettare il momento giusto. Poi sono andato in fuga, ho staccato tutti e ho vinto in una tappa incredibile perché il meteo era terribile. Lo ricordo bene quel giorno e Vittorio, che restò vicino a me per darmi consigli, arrivò terzo».
Prima di Adorni, nel 2019 era scomparso Gimondi, un altro uomo importante per lei: che rapporto avevate?
«Io e Felice eravamo rivali ma fuori dalle gare ci siamo sempre rispettati e abbiamo avuto ottimi rapporti. Quando ci ha lasciati ero triste, questi momenti ti fanno riflettere. Abbiamo corso tanti anni uno contro l'altro. Adesso che è andato via anche Vittorio, c'è ancora più tristezza. Rifletto sul passato e su quello che può accadere nel futuro».
Lei è stato uno dei corridori più forti di sempre, con quali occhi guarda il ciclismo moderno?
«Con gli occhi di chi ha corso in un modo completamente diverso. Oggi i corridori si allenano tanto e fanno meno gare, mentre noi facevamo il contrario. Eravamo in gara praticamente tutto l'anno e ci allenavamo facendo le gare».
Era più bello il suo ciclismo o quello dei nostri giorni?
«Il mio era più bello e vero. Lo preferisco».
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