Roberto D'Alimonte per il “Sole 24 Ore”
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Tutti i ragionamenti che abbiamo fatto fino ad oggi sull'esito delle prossime elezioni portano alla conclusione che il centro-destra vincerà con una maggioranza assoluta di seggi sia alla Camera che al Senato. Siamo ancora convinti che questo sia l'esito più probabile.
È una ipotesi basata non solo sulla percentuale di voti che gli è stata sistematicamente attribuita dai sondaggi, che potrebbe forse anche essere sovrastimata, ma soprattutto sul fatto incontestabile che i rivali sono divisi e questo li rende non competitivi. Ciò premesso, vale però la pena di ipotizzare a quali condizioni questo esito potrebbe non verificarsi.
GIUSEPPE CONTE CONTRO LA MELONI SU TIKTOK
Come è noto, il sistema elettorale prevede l'assegnazione di circa due terzi dei seggi con formula proporzionale e un terzo in collegi uninominali dove il candidato con un voto in più vince. Alla maggioranza assoluta il centro-destra può arrivare attraverso combinazioni diverse di seggi proporzionali e di seggi maggioritari. Assumendo che vinca il 42% dei seggi proporzionali gli servirebbe vincere almeno il 65% dei seggi maggioritari per arrivare alla maggioranza assoluta. Se invece ottenesse il 45% dei seggi proporzionali gli basterebbe vincere il 60% di quelli maggioritari.
In entrambi i casi si tratterebbe di maggioranze risicate. Per ottenere maggioranze più solide la percentuale di seggi dei due tipi deve essere naturalmente maggiore.
MELONI CONTE
Ragioniamo sulla base del secondo esempio che abbiamo fatto, cioè l'ipotesi 45-60. Al Senato il 60% dei seggi maggioritari vuol dire 44 seggi su 74. Quindi, per impedire che il centro-destra possa arrivare a 101 seggi che è la maggioranza assoluta (senza i senatori a vita) gli "altri" dovrebbero vincere 31 seggi.
Quali sono gli "altri" capaci di farlo? La coalizione di centro-sinistra vincerà un certo numero di seggi tra Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna, Toscana e qualche grande città. Ma non può arrivare a vincerne 31 a meno che i sondaggi non mentano clamorosamente.
Calenda, Italexit ecc non vinceranno nessun seggio (parliamo sempre di seggi uninominali). Resta il M5s.
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Fino a poco tempo fa nessuno avrebbe scommesso un centesimo sul fatto che i Cinque Stelle potessero essere competitivi nella arena maggioritaria. Oggi la sensazione che si percepisce è che non sia più così. La sorpresa che potrebbe sconvolgere i pronostici fatti finora potrebbe venire da questa parte.
Nelle elezioni del 2018 alla Camera il M5s ha preso nelle regioni del Sud (da Roma in giù) il 43% dei voti e ha vinto l'83% dei seggi uninominali. Al Senato è andata più o meno allo stesso modo. Anche oggi la sua base elettorale è qui. Al Nord conta poco. Al Sud conta molto grazie al credito che si è conquistato con il reddito di cittadinanza. Per competere nei collegi uninominali del Sud basta avere tra il 30 e il 35% dei voti.
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È una percentuale elevata, ma non fuori dalla portata del partito di Conte. Al Sud sono in palio al Senato 31 collegi. Se il Movimento ne vincesse la metà, la somma di questi collegi con quelli che la coalizione di Letta vincerà nel resto del paese potrebbe privare il centro-destra della maggioranza assoluta. Soprattutto se contemporaneamente la sua percentuale di voti dovesse essere inferiore al 45%, magari per un risultato superiore alle aspettative di Azione e dell'Italexit di Paragone.
In questo caso infatti avrebbe meno seggi proporzionali e dovrebbe vincere una percentuale maggiore di seggi maggioritari. È difficile che uno scenario del genere si realizzi ma non impossibile. I Cinque Stelle ci hanno già sorpreso nel 2013 e nel 2018. Anche allora i sondaggi li avevano largamente sottostimati. Potrebbero sorprenderci di nuovo il 25 settembre. Le conseguenze sarebbero paradossali.
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