Marco Bresolin per “la Stampa”
Il premier della Macedonia del Nord Dimitar Kovacevski e quello albanese Edi Rama
«L'Albania ha ottenuto lo status di Paese candidato otto anni fa, la Macedonia del Nord diciassette anni fa. Spero che i cittadini ucraini non si facciano troppe illusioni». Nel giorno dello storico via libera del Consiglio europeo alla candidatura dell'Ucraina (e della Moldavia), ci ha pensato Edi Rama a smorzare gli entusiasmi.
Il premier albanese è salito sul podio della sala stampa dell'Europa Building con il macedone Dimitar Kovacevski e il serbo Aleksandar Vucic e ha iniziato a lanciare una sequela di accuse nei confronti dell'Unione europea per lo stallo nel processo di adesione dei Paesi dei Balcani. Accanto a loro non c'erano né Charles Michel né Ursula von der Leyen, che all'ultimo momento hanno cancellato la conferenza stampa prevista al termine della sessione con i leader balcanici.
VOLODYMYR ZELENSKY IN COLLEGAMENTO CON L'ISPI
La discussione, iniziata al mattino, è durata oltre quattro ore, molto più del previsto, e si è conclusa con un forte sentimento di impotenza da parte dell'Unione e una palpabile frustrazione sul fronte degli aspiranti membri. La questione balcanica ha poi monopolizzato anche la discussione pomeridiana durante la riunione tra i 27, ritardando il via libera a Ucraina e Moldavia: è arrivato soltanto all'ora di cena, quando anche il presidente Volodymyr Zelensky si è collegato in video («Un momento unico e storico»).
edi rama
Diversi Paesi avevano chiesto un trattamento simile anche per la Bosnia-Erzegovina, che ancora non ha ottenuto lo status di candidato nonostante la richiesta presentata nel 2016. La corsia preferenziale concessa a Kiev e Chisinau (alla Georgia è stata offerta solo la «prospettiva europea»: lo status di Paese candidato verrà assegnato solo dopo che avrà completato un percorso di riforme) rischia infatti di alimentare le tensioni nell'area dei Balcani.
Ma ottenere lo status può non servire a nulla se poi si rimane nel limbo per anni, per questo Macron ha insistito sul progetto della «comunità politica» con i Paesi vicini: «Magari non vivremo sotto lo stesso tetto, ma nella stessa via». Ieri l'Ue non è stata in grado di dare il via libera ai negoziati di adesione con la Macedonia del Nord - e di conseguenza nemmeno con l'Albania, il cui dossier è legato a quello di Skopje - perché la Bulgaria mantiene il suo veto.
Bojko Borisov
Il premier Kirill Petkov è arrivato a Bruxelles poche ore dopo aver incassato la sfiducia del suo Parlamento e dunque ha alzato le mani, dicendo che la palla è nelle mani dei deputati e scaricando la responsabilità sul suo rivale Bojko Borisov. La Francia aveva avanzato una proposta di mediazione per risolvere la disputa tra i due Paesi, ma Kovacevksi l'ha giudicata «inaccettabile»». Una questione bilaterale non può essere trascinata sul piano multilaterale. Si tratta di un problema serio che rappresenta un duro colpo alla credibilità dell'Unione».
Emmanuel Macron Mario Draghi
Rama ha rincarato la dose: «Putin è malato, ma non sembra che l'Europa sia in salute.
La Bulgaria è vergognosa, ma è il processo di allargamento dell'Ue a essere perverso. Siamo qui, ospiti in una casa divisa e questo è molto preoccupante. L'Unione europea è ridicola perché incapace di liberare due Paesi tenuti in ostaggio da uno Stato membro».
Il premier albanese ha ricordato che la Macedonia del Nord «ha persino accettato di cambiare nome» e ha insistito sulla mancata liberalizzazione dei visti per il Kosovo, «l'unico Paese sul suolo europeo i cui cittadini non hanno il diritto di muoversi liberamente.
Quando erano parte della Jugoslavia potevano: ora invece sono tenuti prigionieri da chi li ha liberati».
mark rutte mangia un gelato a roma 4
L'imbarazzo da parte dei leader Ue era palpabile, anche se Emmanuel Macron si è detto fiducioso: «Faremo il possibile per togliere il veto bulgaro». Per l'olandese Mark Rutte c'è «il 50-60% di possibilità di farcela», ma certamente la giornata di ieri ha portato grande delusione tra i cittadini dei Balcani. Nel pomeriggio il premier sloveno Robert Golob ha poi sollevato la questione della Bosnia-Erzegovina, che secondo i piani Ue potrebbe ottenere lo status di Paese candidato soltanto in seguito a una serie di riforme elettorali e costituzionali. La Slovenia - sostenuta da Croazia, Ungheria e Austria - voleva invece uno status di candidato «senza condizioni».
EMMANUEL MACRON ROBERTA METSOLA CHARLES MICHEL
La presa di posizione ha rallentato il via libera per Kiev, ma verso l'ora di cena è stato trovato il compromesso che prevede di accelerare sul dossier di Sarajevo con un report della Commissione. Per l'Ucraina e per la Moldavia si è deciso di fissare alcune condizioni «confermative»: non a monte, ma a valle dello status di Paese candidato. A fine anno la Commissione farà una sua valutazione e teoricamente potrebbe persino ritirare lo status. Per questo diversi leader hanno sottolineato l'importanza delle sette riforme che l'esecutivo Ue ha chiesto a Kiev: «Ora dovranno fare i compiti» ha ribadito Ursula von der Leyen, mentre Charles Michel ha confermato che il Consiglio europeo ha dato il via libera a «ulteriori aiuti militari e finanziari» all'Ucraina.