Omicidio razzista di #civitanovamarche. Un tizio italiano ha ucciso un disabile nigeriano.
— Sarita (@Sarita_Libre) July 29, 2022
Questo è il video dell'inizio.
C'èra chi commentava, c'era chi filmava con il telefonino, ma non c'era chi ha aiutava la vittima.
Che è stata uccisa davanti a tutti. pic.twitter.com/2GCt12fMLY
Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
omicidio di Alika Ogorchukwu
I passanti invece di intervenire filmavano la scena con il telefonino. Molti tg hanno mandato in onda frammenti di questa terribile scena: quattro interminabili minuti in cui Alika Ogochukwu è rimasto in balia della furia di Filippo Ferlazzo, che l'ha prima colpito con la stampella che gli aveva tolto di mano, poi una volta a terra lo ha picchiato e schiacciato «a mani nude», fino a soffocarlo.
Non so perché quelle persone non siano intervenute, non so come mi sarei comportato. So che il nesso tra la morte e la sua rappresentazione in diretta è uno dei temi cruciali che da tempo attraversano le riflessioni sui media, uno di quei temi cui il cinema ha dedicato attenzione, a partire da L'asso nella manica di Billy Wilder a La morte in diretta di Bernard Tavernier, da Dentro la notizia di James L. Brooks ai cosiddetti «snuff movie», filmati amatoriali in cui vengono esibite torture con inevitabile epilogo.
omicidio di alika ogorchukwu 5
Grazie alla rete, la morte non è più un tabù: dev'essere raccontata, mostrata, esibita quasi per la paura che una tragedia non vista resti invisibile, cioè inesistente. Ma i media siamo noi, sempre più pornograficamente addestrati a pedinare la morte in diretta. Inutile dare la colpa ai social, alla mania narcisistica di dover certificare la nostra giornata con foto, video, messaggi.
Da molto tempo (per noi, almeno dalla tragedia di Vermicino) qualcosa si è spezzato per sempre, la morte si è fatta spettacolo, il nostro occhio si è indurito. Il catalogo delle atrocità è così sterminato che le domande legittime rattrappiscono sul nascere: un «accrescimento senza progresso», diceva Musil, che si risolve nella tranquilla connivenza della tragedia e del suo contrario.
Alika Ogorchukwu
La tragedia diventa abitudine per assuefazione, per indifferenza. La rete è il nostro nuovo ambiente di socializzazione, «luogo» in cui impariamo a comportarci, a divertirci, a soffrire. Persino a filmare un omicidio.
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