Giuseppe Salvaggiulo per “la Stampa”
IL PM NINO DI MATTEO
La rituale commemorazione palermitana del magistrato Paolo Borsellino, del caposcorta Agostino Catalano e degli agenti Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, ammazzati dalla mafia con un’autobomba il 19 luglio 1992, è stata il palcoscenico di un attacco da parte di Nino Di Matteo, pm del processo sulla trattativa Stato-mafia, al capo dello Stato Giorgio Napolitano e al premier Matteo Renzi.
Il primo accusato di «condizionare il Consiglio superiore della magistratura», di cui è presidente di diritto, comprimendone l’autonomia; il secondo di riformare la Costituzione con il pregiudicato Berlusconi, capo di un partito fondato con Dell’Utri, colluso con la mafia.
IL PM NINO DI MATTEO
Cerimonia divisa in due, senza politici ed esponenti istituzionali in via D’Amelio, dopo essere stati definiti «avvoltoi indegni» da Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso. Contestata Rosy Bindi, presidente della Commissione antimafia; abbracciato Massimo Ciancimino, sebbene condannato in via definitiva per riciclaggio del tesoro illecito del padre mafioso, arrestato per la prima volta da Falcone e Borsellino.
MASSIMO CIANCIMINO
Altre associazioni antimafia si sono dissociate dall’acclamazione di Ciancimino e questa sarebbe stata la polemica del giorno, se il pm Di Matteo non avesse pronunciato un intervento applaudito nei diversi passaggi, tutti profondamente politici. In primis la denuncia di «omertà di Stato» e «squallidi ricatti» sulle stragi mafiose che hanno garantito «splendide carriere» nelle istituzioni.
Don Vito e Massimo Ciancimino
Poi la contestazione di un disegno volto a «ridurre l’indipendenza dei magistrati a vuota enunciazione formale con lo scopo di annullare l’autonomia del singolo pm», imputato sia alle riforme ipotizzate dal governo (ordinamento giudiziario, responsabilità civile, gerarchizzazione delle Procure), che alle «numerose e discutibili prese di posizione del Csm schiacciato e condizionato da pretese correntizie e politiche e dalle indicazioni sempre più stringenti del suo presidente» Napolitano.
Due anni fa, Di Matteo (con Ingroia) fu protagonista del conflitto davanti alla Corte costituzionale (sollevato e vinto dal Quirinale) sull’inutilizzabilità processuale delle telefonate di Napolitano nel processo Stato-mafia. Due giorni fa, la Procura ha ribadito in udienza l’istanza di ascoltare al più presto il capo dello Stato come testimone, sebbene Napolitano abbia chiesto con una lettera di cancellare la sua deposizione («Non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo»).
PAOLO BORSELLINO CON LA MOGLIE AGNESE
La Corte d’appello deciderà in settembre, e in ogni caso non mancheranno polemiche, tanto più dopo le frasi di ieri, che non si può evitare di riferire alla lettera di Napolitano al Csm sul duello Bruti-Robledo nella Procura di Milano.
L’altro fronte polemico di Di Matteo è Palazzo Chigi. Il pm accusa Renzi di discutere le riforme elettorali e della Costituzione, «alla quale Paolo Borsellino aveva giurato quella fedeltà che ha osservato fino all’ultimo respiro, con un esponente politico definitivamente condannato per gravi reati», Berlusconi, capo di un partito «ideato e fondato» nel 1994 da Dell’Utri, che in quel momento era «da molto tempo colluso con gli esponenti di vertice di Cosa nostra e che da molti anni fungeva da intermediario consapevole dei loro rapporti» con lo stesso Berlusconi.
Reazioni irate da Forza Italia e Ncd: «Ruolo politico, è la magistratura peggiore». Probabile che la questione finisca sul tavolo del Csm.
paolo borsellino Salvatore Borsellino