Daniele Autieri per “la Repubblica - ed. Roma”
la mafia albanese minaccia un gelataio a roma
«Quelli so' brutti forte compa'». La frase pronunciata il 17 aprile del 2013 da Massimo Carminati ed entrata nel libro collettivo delle massime di strada, segna l'origine di quella "marcia su Roma" che il clan degli albanesi ha inaugurato ormai dieci anni fa con l'obiettivo (raggiunto) di scalare le gerarchie criminali.
Dal pregiudicato Tomislav Pavlovic, il tizio "brutto forte" di cui Carminati parlava con il suo compare Riccardo Brugia, fino a Elvis Demce, il boss che insieme al socio in affari Alessandro Corvesi voleva sparare ai magistrati Francesco e Giuseppe Cascini, la scalata degli albanesi racconta come è cambiata la città.
I primi segnali risalgono al 2013, quando dietro l'immagine della "fabbrica da spritz" vengono invece fatte le prove generali per un nuovo laboratorio criminale: la batteria di Ponte Milvio.
la mafia albanese minaccia un gelataio a roma 2
Da un lato i napoletani dei fratelli Genny e Salvatore Esposito dall'altro Fabrizio Piscitelli e alle spalle il boss della camorra romana Michele Senese.
«Su Ponte Milvio - riporta l'ordinanza del Ros dei carabinieri dell'indagine Mondo di Mezzo - opera una batteria agguerrita e pericolosa con a capo Fabrizio Piscitelli alias Diabolik e della quale fanno parte soggetti albanesi».
Serate interessanti, quelle vissute al Coco Loco, il locale dove lavorava Adrian Pascu, l'albanese ucciso a rivoltellate nel dicembre scorso mentre entrava nell'androne di un palazzo a Primavalle.
Uno di quei luoghi simbolo dove tutto si confonde, da Diabolik ai Senese, amici fin da quando giocavano insieme nel campetto della parrocchia al Tuscolano, e in mezzo a loro gli albanesi, così scaltri da usare i napoletani come una scala mobile criminale.
manifesti con diabolik per fabrizio piscitelli 1
Il 22 luglio del 2015 il Gico della Finanza arresta nove persone per traffico internazionale di droga. Lo zoccolo duro è composto dai fratelli Guarnera, i boss con un passato tra i Casalesi, ma c'è anche un ramo albanese, costituito da Arben Zogu (per gli amici Riccardino), Petrit Barghi (Titty) e Ettore Abramo (Pluto). Gli inquirenti segnalano Riccardino come uno degli appartenenti alla "batteria di Ponte Milvio".
fabrizio piscitelli diabolik 11
Tra gli arrestati spunta anche Elvis Demce, l'uomo che voleva sparare ai pm davanti al tribunale di Piazzale Clodio. Seguendo le orme di Piscitelli, Demce riesce a conquistare una fetta importante del traffico di droga, erede naturale di Dorian Petoku, l'uomo che il 13 dicembre è al ristorante "L'Oliveto" di Grottaferrata dove Piscitelli e Salvatore Casamonica concordano le regole della pax mafiosa sul litorale.
ELVIS DEMCE 11
Uscito di prigione, Demce è a pieno titolo il successore della scuola albanese, grazie ai legami con la Colombia ma anche a un esercito addestrato a prendere la coca in Olanda o Spagna e trasportarla fino a San Basilio e Tor Bella Monaca.
«Sono Pablo Escobar», si autocelebra. E posta bancali pieni di soldi mentre i carabinieri annotano che «il denaro contante nella foto è pari ad 1 milione di euro».
A 5 milioni invece ammonta il guadagno che avrebbe fruttato la polvere bianca trovata in casa dell'ex calciatore Corvesi. È "il patrimonio della family" dicono gli albanesi ricordando nei pizzini la "cassa per i carcerati", quella per le armi, "o i soldi per i ragazzi".
CARABINIERI CONTRO LA MAFIA A ROMA
«Amo levato i soldi a mezza Roma», si vanta Demce, disposto ad ingaggiare una guerra aperta con il suo rivale storico, anch'egli albanese, Ermal Arapaj. Siamo nel 2019 e Diabolik viene ucciso con un colpo alla testa al Parco degli Acquedotti. La strada sussurra «il re è morto. Lunga vita al re» senza tenere conto dell'arrivo di un nuovo dio e dei suoi discepoli.
MAFIA ALBANESE
«Qua c'è solo una chiesa - dice Demce ai suoi - qui pure i sanpietrini sono nostri». Roma si mette in fila alla corte del boss tanto che dopo la morte di Diabolik la moglie va più volte a trovare l'albanese costretto a casa per i domiciliari.
Una circostanza sulla quale si deve ancora fare luce, mentre nessuno dubita ormai della forza e della potenza di fuoco del clan albanese. «Molti sono figli di albanesi che hanno lavorato qua e quindi conoscono bene la lingua, conoscono bene il territorio. E poi rispetto alla malavita romana sono cattivi, cioè non si inculano nessuno». Parola di Massimo Carminati, profeta in patria, suo malgrado.
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