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    ARMANI IN PASTA! – SAPETE QUANTO VENIVANO PAGATI GLI OPERAI CINESI CHE PRODUCEVANO LE BORSE DA OLTRE 1.800 EURO DEL MARCHIO DI “RE GIORGIO”? TRA I 2 E I 3 EURO L’ORA – E’ QUELLO CHE E’ EMERSO DAL ‘REGISTRO NERO’ RINVENUTO IN UNO DEGLI OPIFICI CHE PRODUCEVANO ABBIGLIAMENTO E ACCESSORI PER IL COLOSSO DELLA MODA, DOPO CHE LA “GIORGIO ARMANI OPERATIONS” E’ STATA MESSA IN AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA DAL TRIBUNALE DI MILANO PER CAPORALATO – LE FABBRICHE DEI FORNITORI CINESI ERANO "ATTIVE PER OLTRE 14 ORE AL GIORNO...


     
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    Estratto dell’articolo di Dav.Mil. per il “Fatto quotidiano”

     

    Giorgio Armani operations Giorgio Armani operations

     “Quel che emerge è che alla Giorgio Armani Operations (GA) Spa vi è una cultura di impresa gravemente deficitaria sotto il profilo del controllo, anche minimo, della filiera produttiva della quale la società si avvale. Una cultura radicata all’interno della struttura che ha di fatto favorito la perpetuazione degli illeciti”. E ancora: “Una prassi così collaudata, da poter essere considerata inserita in una più ampia politica d’impresa diretta all’aumento del business”.

     

    Questi i passaggi decisivi con i quali la Procura di Milano ha ottenuto dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale l’amministrazione giudiziaria per un anno del braccio industriale del gruppo Giorgio Armani con un capitale sociale di 24 milioni. Alla base della decisione la contestazione di un acclarato sfruttamento del lavoro (caporalato), che la GA Operations non ha impedito.

     

    Giorgio Armani operations Giorgio Armani operations

    […] Le vittime sono decine di lavoratori cinesi impiegati in quattro opifici riconducibili a ditte sempre cinesi, costretti a lavorare oltre 14 ore a meno di 2 euro all’ora o a cottimo a 1 euro per una borsa confezionata, venduta all’appaltatore a 90 euro e che poi in negozio con il marchio Armani arrivava a 1.800 euro. Il sistema fotografato dall’inchiesta è molto semplice: la Giorgio Armani Operations esternalizza al 100% la produzione appoggiandosi a due ditte: la Manifatture Lombarde Srl e la Minoronzoni Srl.

     

     Le due società in realtà non hanno capacità produttiva e quindi subappaltano a imprese cinesi. […] La ricostruzione degli illeciti, per i pm, torna indietro di sette anni. Gli accessi presso gli opifici da parte dei carabinieri hanno rilevato: assenza di dispositivi di sicurezza sulle attrezzature; assenza di formazione lavoro e visite mediche; la presenza nei luoghi di aree adibite a dormitorio e mensa che “consentono un utilizzo di forza lavoro h24”.

    giorgio armani in cina giorgio armani in cina

     

    “Mentre – scrive il Tribunale – la conferma che l’attività di produzione dichiarata è stata sottostimata è data dalla rilevazione degli assorbimenti elettrici che attestano l’innalzamento del livello di consumo tra le 6.45 e le 21.00 anche in giorni festivi. Il dato dei consumi inoltre conforta anche l’attendibilità delle dichiarazioni acquisite da una dipendente e conferma i dati del ‘registro nero’ rinvenuto in azienda circa le ore effettivamente svolte dall ’organico dipendenti”. Di più: “Dalle dichiarazioni degli operai sono emerse paghe anche di 2/3 euro orarie, tali da essere giudicate sotto minimo etico”.

     

    Giorgio Armani operations Giorgio Armani operations

    Di tutto questo, per l’accusa, era consapevole l’appaltatore, mentre il committente, e cioè la Giorgio Armani Operations Spa non risulta abbia mantenuto serrati controlli, visto che l’unico audit fatto è del 2020 e dove tra l’altro non è segnalato un dato decisivo: l’assenza di capacità produttiva della Manifatture Lombarde. Un operaio racconta: “Mi trovavo presso la Minoronzoni quando venne un’impiegata e ci fece nascondere, io e altri 4 imprenditori cinesi, in un angolo dell ’ufficio a luci spente e chiuso da un separé, perché quel giorno si presentarono agenti del controllo qualità di un marchio importante”. […] Il gruppo Armani ieri ha spiegato: “La GA Operations collaborerà con gli organi competenti per chiarire la propria posizione”.

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