Matteo Persivale per il “Corriere della Sera”
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La scritta «Faire sans dire» cioè «fatti non parole», «fare senza parlare» letteralmente, motto milanesissimo, fa bella mostra di sé nella sala dello Zodiaco della cinquecentesca Casa degli Atellani, gioiello architettonico di corso Magenta, uno degli edifici più famosi di Milano, e anche se la scritta è di un secolo fa - risale al restauro novecentesco di Piero Portaluppi - possiamo dire che l'architetto si era portato avanti: Casa degli Atellani infatti è passata di mano, dai discendenti dell'imprenditore e senatore Ettore Conti (1871-1972) e di Portaluppi (1888-1967) al gruppo LVMH del francese Bernard Arnault, uomo più ricco del mondo ( Forbes lo conferma) con i suoi 169.8 miliardi di euro di patrimonio adesso che i guai del titolo Tesla e le spese per Twitter (costato 44 miliardi) hanno fatto retrocedere Elon Musk.
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Settantatré anni, nato a Roubaix, chief executive officer di LVMH che controlla marchi come Vuitton, Bulgari, Dior, Fendi, Givenchy oltre allo champagne Moët & Chandon, ingegnere laureato all'École polytechnique, collezionista d'arte, Monsieur Arnault aggiunge un altro capolavoro alla sua collezione. Casa degli Atellani fu donata nel 1490 da Ludovico il Moro (che l'aveva comprata per 6 mila lire da un nobile piacentino) a Giacometto di Lucia dell'Atella che decide di rendere uniche - anche con affreschi di Bernardino Luini - quelle che allora erano due case vicine, una più grande e l'altra più piccola.
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Otto anni dopo sempre il duca di Milano regala a Leonardo - che stava dipingendo l'Ultima Cena nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, proprio lì di fronte - la vigna nei terreni dietro la casa, 16 pertiche (circa 8 mila metri quadrati). Vigna che, scomparsa nei secoli, verrà ricostruita con lavoro certosino (e la collaborazione dell'Università degli Studi) nel 2014 e inaugurata l'anno dopo, per Expo 2015. È l'unica vigna al mondo ancora esistente nel centro d'una metropoli, e produce la stessa malvasia di Leonardo.
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Gli Atellani lasciano la casa nel XVII secolo, e i proprietari si avvicendano - i conti Taverna, i Pianca che operano nel 1823 la prima ristrutturazione, e i Martini di Cigala - fino al 1919 quando la compra (in pessimo stato: la moglie rifiutò di traslocare senza che prima venisse restaurata) il senatore Ettore Conti. Figlio di un tabaccaio, ingegnere, imprenditore visionario pioniere dell'elettricità (allora era un settore hi-tech), Conti ha un genero geniale, Piero Portaluppi, che riceve l'incarico di ristrutturarla.
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Dopo tre anni di lavori Casa degli Atellani ripensata da Portaluppi viene inaugurata. E proprio a Portaluppi toccherà mettere mano nuovamente all'edificio dopo i bombardamenti del 1943 che oltre a devastare Santa Maria delle Grazie (tranne, miracolosamente, l'Ultima Cena) abbattono i celebri saloni di rappresentanza del primo piano: la sala Omnibus, la sala del biliardo, e il salone degli Specchi.
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L'attuale uomo più ricco del mondo, Bernard Arnault, aveva già comprato nel 2013 un gioiello milanese, la Pasticceria Cova di via Montenapoleone, per coincidenza proprio a fianco - la prima cerchia di Milano è minuscola - alla sede della Reale Compagnia Italiana. Nell'assoluta discrezione che ha accompagnato la delicata trattativa per Casa degli Atellani - «Faire sans dire», per l'appunto - non è noto l'uso che LVMH farà dell'immobile. Di sicuro sarebbe bizzarro se il collezionista d'arte proprietario di istituzioni come Chateau d'Yquem (1593) e Moët & Chandon (1743) e Hennessy (1765) decidesse di smantellare la vigna leonardesca così faticosamente riportata in vita.
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Attualmente Casa degli Atellani - molto amata dai marchi della moda, che da Dior a Swarovski l'hanno scelta per i loro eventi, e quattro anni fa Dolce & Gabbana vi organizzarono una memorabile sfilata dell'alta moda - è aperta al pubblico per le visite e anche per brevi permanenze in affitto (sei appartamenti, a prezzi consoni con la location). Chi teme per la possibile chiusura ai visitatori di un capolavoro portaluppiano, c'è sempre Villa Necchi Campiglio di via Mozart che l'ultima proprietaria lasciò in eredità al Fai (Fondo Ambiente Italiano).
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