Davide Frattini per corriere.it
Mezzo milione di vaccinati in meno di 10 giorni, un israeliano su venti protetto dal Covid-19.
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Lo Stato ebraico è il primo al mondo per il numero di dosi somministrate pro capite e spera di aver inoculato i due terzi della popolazione (senza contare i ragazzi sotto i 16 anni, 9,2 milioni di persone in totale) entro la fine di marzo.
La corsa contro il tempo e contro il Coronavirus è cominciata il 20 di dicembre con le prime iniezioni alle categorie più a rischio, compresi gli insegnanti: il governo ha imposto da domenica il terzo lockdown, quasi tutte le scuole restano però aperte.
Oltre 200 centri sono stati allestiti nel Paese, le operazioni vengono condotte come in «una catena di montaggio» — scrivono i giornali — e per permettere ai dottori e agli infermieri di riposare è probabile che vengano arruolati i riservisti addestrati da paramedici ai tempi del servizio militare obbligatorio.
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La maggior parte delle fiale arrivano dalla Pfizer – nei mesi scorsi il primo ministro Benjamin Netanyahu ha chiamato di persona l’amministratore delegato Albert Bourla per assicurarsi la fornitura – e al ministero della Sanità sono preoccupati che le dosi non riescano ad arrivare nei tempi previsti dalla campagna vaccinale.
Allo stesso tempo — commenta il quotidiano Haaretz — «le case farmaceutiche hanno tutto l’interesse a velocizzare la produzione e le consegne perché Israele può rappresentare un caso test. Una dimostrazione dell’efficacia dei vaccini in una piccola nazione pronta a immunizzare tutti».
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E dove tutti sono pronti a farsi vaccinare: la preoccupazione che gli israeliani restassero scettici e non volessero fare da «cavie» è stata superata dai centralini intasati per le richieste di appuntamento e dai tentativi di ottenere la dose il prima possibile saltando la fila stabilità dagli ospedali.
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