italo bocchino riccardo villari
Franco Bechis per “Libero quotidiano”
A NAPOLI LETTIERI È STATO IN BILICO PER LE SOPRACCIGLIA
Se indubbiamente Guido Bertolaso è stato scelto soprattutto (e al momento sembra solo) da Silvio Berlusconi, altrettanta convinzione il Cavaliere non ha avuto per la scelta del candidato sindaco del centrodestra a Napoli. Come nel 2011 alla fine la scelta è caduta sull' industriale Gianni Lettieri, ma qualche resistenza del leader degli azzurri questa volta c' è stata.
napoli-berlusconi-lettieri-dalessio
Lo spiegava in confidenza a un collega l' altro giorno il senatore Riccardo Villari, forzista che da un mese circa si è dimesso dal gruppo aderendo sempre nel centro destra a Gal. «Non ho capito», diceva Villari, «su cosa si è convinto alla fine Berlusconi. Quando l' ho incontrato io il presidente era pieno di perplessità. Mi ha detto: "Ma questo Lettieri ha ancora le sopracciglia bianche? Già l' altra volta gli avevo detto di pittarsele, che se no sembra vecchio. E poi temo che non abbia empatia, non prenda proprio". Avrei giurato che il cavaliere avrebbe bocciato la candidatura».
GIANNI LETTIERI GNAM GNAM
Villari però ha sbagliato scommessa «e non so proprio cosa sia intervenuto per fargli cambiare idea. Mi ricordo che 5 anni fa andammo tutti a sostenerlo per il comizio finale, e venne naturalmente anche il Cavaliere. Alla fine Lettieri sostenne che aveva perso proprio per quell' intervento-appoggio di Berlusconi. Mi chiedo: e noi lo ripresentiamo di nuovo? Mi è stato risposto che uno dei vantaggi di Lettieri è che si paga lui le spese della campagna elettorale.
Certo, è un buon argomento. Ma ricordo che la stessa cosa fu detta nel 2011. Poi bisognerebbe andare a chiedere al povero Denis Verdini quanto costò a lui saldare i conti di quella campagna...».
I REDUCI DI AN LITIGANO SU ALFIO E LA DESTRA SBANDA
ALFIO MARCHINI
Raccontano nei corridoi della politica che gran parte della bagarre a cui si sta assistendo nel centrodestra di Roma per la scelta del candidato sindaco, sia originata da vecchie liti e odi che coinvolgono fratelli-coltelli un tempo tutti uniti sotto l' ombrello di Gianfranco Fini. E in effetti sono tre i protagonisti in campo che un tempo militavano in Alleanza Nazionale: Barbara Saltamartini, ex Pdl ed ex Ncd, oggi rappresentante a Roma di Matteo Salvini.
Poi Fabio Rampelli detto "Er Nasone", spalla destra di Giorgia Meloni in Forza Italia. Il terzo è il senatore Andrea Augello, eletto con il Pdl, finito nel Nuovo centrodestra e oggi nel gruppo parlamentare di Gal dopo avere aderito a Idea, il nuovo movimento fondato da Gaetano Quagliariello. Augello è restato in ottimi rapporti con la Saltamartini, ma è sempre stato in pessimi rapporti con Rampelli.
GIORGIA MELONI FABIO RAMPELLI
Sono nemici giurati come i fratelli che a un certo punto si odiano. Se uno prende una strada, puoi stare sicuro che l' altro prenda quella opposta. Se uno decide bianco, l' altro per forza sceglie nero. Il primo a muoversi sulle elezioni romane è stato Augello. E ha scelto di schierarsi subito con Alfio Marchini. Risultato: Rampelli ha detto subito che qualsiasi candidato sarebbe andato bene, meno Marchini.
In quel momento Silvio Berlusconi stava accarezzando l' idea di appoggiare il bell' Alfio.
Ma, spinta da Rampelli, la Meloni si è messa con decisione di traverso, scompigliando le carte. Berlusconi avrebbe resistito, nonostante Fratelli di Italia sia il partito della coalizione che ha più chances su Roma. Ma poi è capitato che la sirena Augello abbia incantato la Saltamartini, e così lei sia partita decisa verso l' appoggio a Marchini.
Pasquale Laurito
È riuscita a convincere Matteo Salvini, che ha sposato la candidatura. Proprio questo passo però è stato decisivo per fare tornare sulle sue decisioni Berlusconi: ha avuto il sospetto che sul bell' Alfio Salvini avesse in mente di giocare una partita tutt' altro che locale: oggi sindaco di Roma, fra due anni il vero leader del centrodestra al posto del Cavaliere. Grazie a queste mosse di biliardo ecco il gran caos di queste ore in cui sta cercando orgogliosamente di navigare il povero Guido Bertolaso.
LA LADY COL TOSCANO CHE NON VA GIÙ ALLA VELINA ROSSA
È di vecchio stampo Velina Rossa, alias Pasquale Laurito, il fustigatore dell' era renziana del Partito Democratico. Ogni giorno se la prende con quello che chiama "taverniere di Firenze" che proprio non va giù a lui, cresciuto raccogliendo segreti e confidenze dell' apparato prima Pci, poi Ds, poi Pds e infine (un po' a malavoglia) anche Pd.
elisa simoni
Essendo di vecchio stampo fustiga anche i costumi assai diversi dal passato dei giovani eletti. L' ultima settimana si sfogava perché non sembra apprezzare una giovane e bella signora del Partito Democratico che in un corridoio laterale stava assaporando un sigaro toscano. Intendiamoci, quella è l' area fumatori, quindi nulla di strano.
Ma per Velina rossa «una donna che fuma il toscano, quando mai si è vista? E qui ci affumica tutti...». Quando gli hanno spiegato che quella donna è Elisa Simoni, cugina dello stesso Renzi, si è capito che la poveretta sarebbe finita triturata in una delle prossime veline. Un' anima pia lì vicino ha calmato Velina rossa: «Cugina di Renzi sì. Ma sta dalla parte della minoranza Pd. A Firenze lei si era schierata con Gianni Cuperlo...». E per ora la Simoni e il suo toscano conservano l' immunità....
maria fida moro con il figlio
LA FIGLIA DI MORO E QUEI DUBBI SUBITO SECRETATI
L' 11 febbraio scorso davanti alla commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e la morte di Aldo Moro, guidata da Giuseppe Fioroni, si è svolta l' audizione della figlia dello statista Dc, Maria Fida. Gran parte di quel colloquio fu secretato, e quindi chi assisteva in diretta non ebbe la possibilità di cogliere quasi nulla di quel che veniva detto.
aldo moro
A un mese di distanza è uscito il verbale stenografico, che contiene ancora molti omissis, ma che qualcosa in più fra trasparire. È stata una audizione davvero drammatica. Con Maria Fida che ha esordito così: «Ho un linfoma che mi è stato diagnosticato circa 3 anni fa, nel 2012. Non voglio andarmene dalla terra senza avere lasciato agli atti di un organo istituzionale questo dubbio amletico che mi pesa sul cuore fin dal 16 marzo 1978».
aldo moro con la figlia maria fida
E di dubbi ne ha snocciolati ben più di uno: «Ho la sensazione precisa che mia mamma fosse prigioniera tanto quanto papà e forse di più. Di questo va tenuto conto. Non si può fare come se niente fosse». Maria Fida ha spiegato che la mamma «era di una durezza stratosferica… e non si faceva piegare da niente, non aveva paura di niente».
maria fida e luca moro
Per questo non si è mai illusa dal giorno del rapimento: «La morte di papà era una cosa che noi aspettavamo. Da quando ne ho memoria abbiano sempre saputo che, in un modo o nell' altro l' avrebbero ucciso. Non eravamo impreparati, tanto è vero che delle persone che il 16 marzo venivano in casa uno sveniva, l' altro aveva bisogno del Sympatol, c' era chi si sentiva male da una parte e chi dall' altra. Noi quel giorno abbiamo fatto il pronto soccorso». Secondo Maria Fida però «questo comportamento acquiescente contrasta moltissimo con il modo di essere di mia madre. Si era arresa prima di cominciare questa battaglia. Non corrisponde a nulla...».
maria fida moro
Qualcuno dunque deve avere fatto pressioni su di lei, e deve averle detto qualcosa che ha poi conservato in segreto e in silenzio. La figlia di Moro ha choccato i presenti anche parlando della scorta di suo padre, e soprattutto del capo scorta Oreste Leonardi, maresciallo dei carabinieri trucidato proprio nel rapimento del leader Dc, il 16 marzo 1978 in via Fani.
Maria Fida ha esordito così: «Avevamo rapporti familiari e affettuosi con tutti quelli della scorta». Poi però ha continuato: «Me lo sono chiesto anche io - ed era una delle teorie di mia madre - se per caso Leonardi fosse stato invitato a fare finta di non vedere, perché forse era stato organizzato un finto sequestro per mettere in salvo papà...».
Ha spiegato di non crederci molto, ma ha aggiunto: «Tuttavia c' è un episodio, che chiedo di secretare perché non voglio dare dolore alla sua famiglia». E quel che ha detto a questo punto è stato blindato negli archivi della commissione.
LA «LINEA ROSSA» È FINITA NELLE MANI DI UN LETTIANO DOC
FRANCESCO SANNA
Ricordate la famosa linea rossa simbolo della guerra fredda? Installata nel 1963, teneva in comunicazione costante gli Stati Uniti d' America e l' allora Unione Sovietica per evitare il rischio di una guerra nucleare. Poi è diventata un simbolo di ogni comunicazione ad alto livello. Chissà dove è finita oggi... Sembrerebbe nelle mani di un deputato del Pd che era fra i più vicini ad Enrico Letta: Francesco Sanna.
Da qualche tempo lui si aggira nei corridoi di Montecitorio stringendo in mano una vecchia cornetta telefonica di colore rosso fiammante. E' di gomma, e un filo la collega agli auricolari del suo telefonino. E dall' altro capo del telefono? Sarà l' amico Enrico che attende il segnale in questo momento di grande confusione del Pd?