Giuseppe Pollicelli per “Libero quotidiano”
Ci sono modi diversi di consacrare la vita al sesso, da quelli più rispettabili socialmente (per esempio svolgere la professione di andrologo o di ginecologo) a quelli che lo sono meno (prostituirsi), ma probabilmente nessuno, in Italia, ha fatto del sesso il faro della propria esistenza nella stessa maniera totalizzante di Michele Capozzi, sessantanovenne genovese che non a caso definisce se stesso «pornologo».
MICHELE CAPOZZI E VANESSA DEL RIO
Se ci si vede con Capozzi, la possibilità di andare a sbattere sull' argomento erotismo è molto più che elevata; anzi, non è nemmeno una possibilità, è una certezza assoluta. Ma questo non rende l'idea, perché in realtà è come se Capozzi avesse per il sesso e i suoi dintorni (meglio se devianti ed eccentrici) una calamita incorporata: anche se lui - e capita di rado - non vuole andare al sesso, è il sesso che va da lui. Ne ho la conferma intervistandolo, in una mite tarda mattinata di febbraio, nel dehors di un bar in Piazza del Biscione, a Roma, a due passi da Campo de' Fiori.
È Capozzi a darmi appuntamento lì, dicendomi al telefono, mentre ridacchia: «Sai, sto da alcuni amici in Via dei Chiavari - che sono quelli che facevano le chiavi, non quelli che chiavavano - ma la loro casa è piccola, vediamoci in un bar».
Ron Jeremy - Juliet Anderson - Michele Capozzi
Dunque bar sia. E dove si trova il bar? In via del Biscione, appunto. E quanti anni ha Capozzi?
Già detto: sessantanove. Ma finiamola qui (per ora, perché siamo appena all' inizio)...
Michele non lo vedo da anni (ci eravamo incrociati qualche volta nelle varie redazioni dell' editore Francesco Coniglio), ma non mi pare troppo invecchiato. Indossa un cappottaccio grigio, una cravatta di pelle allentata e grigia anch' essa (al pari dei capelli radi e arruffati), e intorno al collo ha - immancabile - la sciarpa del Genoa.
Quando è nata, in te, la fissa per il sesso?
«Definitivamente direi subito dopo il liceo, all'inizio dell' università. Mi sono laureato in Legge in quattro anni e diplomato alla Scuola di Scienze Sociali di Genova, fondata dal cardinal Giuseppe Siri. Ma dico sempre che di titoli di studio ne ho almeno un altro, che poi è il più importante: quello conseguito nei caruggi della mia città».
Teresa Orlowski - Michele Capozzi - Eva Orlowsky
I caruggi cari a De André.
«De André me lo ricordo bene. Non eravamo amici, perché lui era di un altro giro, aveva cinque o sei anni più di me, ma quei luoghi li frequentava davvero. Come tanti altri della Genova bene».
Tu non facevi parte della Genova bene?
«Proprio della Genova bene no, anche se provengo da una buona famiglia di origini meridionali: mio padre era irpino, mia madre siciliana».
Dicevi della laurea nei caruggi.
«Sì, considera che fin quasi alla fine della scuola superiore sono stato un cattolico anche abbastanza fervente, ero un devoto della figura di Raoul Follereau. Poi l' illuminazione: ho capito che erano tutte balle e ho deciso di cambiare vita».
de masturbatione michele capozzi cover
Che hai fatto?
«Innanzi tutto, appunto, ho iniziato a bazzicare i caruggi. E così è iniziato il mio felice rapporto con la prostituzione, che dura ancora oggi».
Avevi delle preferenze?
«In assoluto le mie predilette sono le sudamericane: hanno qualche remora di troppo, in quanto cattoliche, ma a entusiasmo non le batte nessuno. Ai tempi dei caruggi le puttane venivano quasi tutte dall' Italia meridionale, da questo punto di vista la scelta non era amplissima. Ma c' erano già i travestiti, specie dalle parti di Via del Campo».
Altro luogo deandreiano. Ci andavi, con in travestiti?
«Certo. Una passione che mi è rimasta».
Ti ritieni omosessuale?
«Sono decisamente eterosessuale. Con una componente omosessuale con cui convivo felicemente. Quello che posso dire è che i travestiti sono in media fra le persone più divertenti e intelligenti, perché hanno visto più cose di noi, ne sanno di più della vita».
Lynn LeMay - Summers - Gere - Michele Capozzi
Dopo la laurea nei caruggi che combini?
«Mi trasferisco a Londra per fare pratica legale, già sapendo che non sarà la mia strada. Però imparo bene l' inglese. E vado all' Isola di Wight».
Il mitico festival?
«L' edizione del 1970, quella con Jimi Hendrix, i Doors gli Who e via dicendo. Dopo non molto torno in Italia, ma a Roma, perché volevo fare il cinema. Provo al Centro Sperimentale ma mi bocciano, però conosco il regista Mino Guerrini e divento una specie di suo factotum. La fortuna è stata che Guerrini, che in quel periodo realizzava i film del colonnello Buttiglione interpretati da Jacques Dufilho, aveva bisogno di una macchina con quattro posti e io avevo una Fiat 128. Grazie a Guerrini ho imparato sul campo il mestiere del cinema e così, come segretario di produzione o aiuto regista, ho cominciato a lavorare moltissimo, soprattutto agli stabilimenti De Paolis in Via Tiburtina. Mi occupavo prevalentemente di spot pubblicitari che gli americani giravano da noi per risparmiare, per esempio quelli della Kentucky Fried Chicken».
MICHELE CAPOZZI
Hai partecipato anche a film importanti?
«Come no. Per esempio "La spia che mi amava" (un James Bond con Roger Moore) e "Obsession. Complesso di colpa" di Brian De Palma».
De Palma che tipo è?
«Uno stronzo. È italoamericano e parlava sempre male degli italiani che lavoravano con lui sul set. Magari in parte aveva pure ragione, ma sapeva benissimo che io capivo l' inglese (facevo anche da traduttore) ed era un continuo di "Italian bastards!" sparati a voce alta. Per tre volte l' ho accompagnato in macchina dal suo hotel di Firenze a San Gimignano e ha sempre fatto finta di appisolarsi per non rivolgermi la parola. Comunque me la passavo bene. Guadagnavo intorno alle 120.000 lire alla settimana, che all' epoca erano bei soldi».
MICHELE CAPOZZI
Come lo usavi questo denaro?
«Le prostitute erano una voce di spesa rilevante, come puoi immaginare».
Quand' è che ti trasferisci a New York, che è il luogo in cui prevalentemente vivi?
«Nel 1978. Lascio mia madre 74enne, ammalatasi di Alzheimer, in un ospedale a lunga degenza e, al termine di una breve relazione con una ragazza, seguo un mio amico un po' più giovane, un omosessuale molto simpatico, e me ne vado con lui nella Grande Mela, il centro del mondo».
Soprattutto allora.
MICHELE CAPOZZI
«Sì, indubbiamente. Riesco a lavorare un po' nel cinema anche lì, ma soprattutto mi specializzo come guida per i turisti che vogliono girare la New York della trasgressione e dei divertimenti estremi. Un' attività che svolgo ancora oggi».
Quanto costa un giro?
«Cinquecento dollari».
Mica poco.
«All' inizio pare tanto, poi se vieni con me capisci che ne vale la pena. Diversi miei amici attuali sono ex clienti».
Dove li portavi?
«Per esempio all' Hellfire Club, al quale anni fa ho dedicato pure un documentario, "Pornology New York". Di documentari, a proposito, ne ho appena finito un altro, "Bollezzumme", che in genovese significa "ribollìo" e sta anche a indicare una situazione caotica. È tutto dedicato al centro storico e al porto di Genova».
A New York che altro fai?
«Due cose, fondamentalmente. La prima è frequentare lo Studio 54, la discoteca sulla 54ma Strada dove si incontrava di continuo gente come Andy Warhol, Keith Haring e Bianca Jagger. La seconda è cominciare a lavorare stabilmente nel porno».
MICHELE CAPOZZI
Warhol lo hai conosciuto?
«Sia lui che Haring. Non eravamo amici in senso stretto ma conoscenti sì. Una volta, a un semaforo, me li vedo passare entrambi davanti: guardano fisso la mia macchina, che è tutta ricoperta da incrostazioni causate da acqua mista a cemento (dal 1979 dispongo di uno spazio mio sulla riva del fiume Hudson, dove tengo la barca - anzi le barche, perché ne ho cambiate tante - in cui vivo); incrostazioni che io, pigro come sono, mi guardo bene dal togliere. La sera incrocio Haring nel bagno di un locale e lui mi fa: "Ma che diavolo di macchina hai?". Al che gli rispondo: "It' s a work of art!". Pure io sono in grado di fare un' opera d' arte, mica solo lui!».
(ride) Quando inizia il declino della stagione di Warhol e Haring?
MICHELE CAPOZZI
«Con la comparsa dei primi casi di Aids, quindi già alla fine del 1981. Se aprivi l' armadietto del bagno in casa di un omosessuale, in quegli anni, lo trovavi stipato di medicinali. Conducevano una vita incredibilmente promiscua e contraevano malanni di continuo. A volte leggeri e a volte meno, ma andavano avanti ad antibiotici. Sesso non protetto e antibiotici, antibiotici e sesso non protetto... Ovviamente dopo un po' le difese immunitarie andavano a farsi benedire. Nel 1984 l' Aids è esploso anche a livello mediatico e così una stagione piena di idee, vita ed effervescenza si è definitivamente - e mestamente - chiusa».
E il porno?
«In rapida successione faccio la conoscenza di un certo Robert Sumner, braccio destro di un tizio che aveva soldi da investire, e della porno attrice Samantha Fox (omonima della cantante). Inizio a lavorare con loro curando il piano di lavorazione di un film. Le riprese dovevano durare undici giorni in tutto, che a me, venendo da James Bond e De Palma, parevano pochissimi, mentre oggi, in undici giorni, di film porno se ne girano undici.
MICHELE CAPOZZI
La vera svolta è stata però incontrare Candida Royalle, ex ballerina newyorchese diventata attrice pornografica, la quale aveva creato una sua casa di produzione, la Femme Production, con cui aveva già realizzato otto titoli. I successivi (tredici o quattordici in tutto) li abbiamo fatti insieme, con me in veste di sceneggiatore e produttore esecutivo. Sono film particolari, destinati alle coppie eterosessuali e con una trama abbastanza strutturata».
Oggi si guadagna ancora, con il porno?
MICHELE CAPOZZI
«Sì, infatti ho intenzione di riprendere a farlo. Anche come regista. Un mio amico di Milano che lavora nel porno, Massimo Bonera detto il Barone (soprannome che gli ho dato io anagrammando il suo cognome), mi ha spiegato che, attraverso la pubblicità e Internet, con l' hardcore si continua comunque a monetizzare un bel po'. Quindi ora devo solo farmi venire qualche buona idea e risentirlo».
Mi alzo per andare a pagare il conto. Quando torno al tavolino, vedo Capozzi al telefono. Ha un' espressione entusiasta. Dopo un po' riattacca e mi dice: «Non ci crederai, era Bonera! Ti confermo che puoi scriverlo su Libero: il Capozzi torna al porno!».