DA QUI ALL’ETERNIT: LA MORTE DEL BARONE DE CARTIER E’ L’ULTIMA BEFFA PER 90 FAMIGLIE: RISARCIMENTI DIFFICILI

Vai all'articolo precedente Vai all'articolo precedente
guarda la fotogallery

Marco Imarisio per "Il Corriere della Sera"

Sembra una virgola bianca su un foglio scuro. I dottori lo chiamano in tanti modi, quasi sempre usano il diminutivo, come se le carinerie verbali potessero addolcire la tosse, e la realtà che si legge sulla radiografia. Il picciolo, il piccolo filamento, la rughetta.

Una volta i ragazzi della scuola media Martiri della Libertà erano arrivati a censire quaranta diverse definizioni. La diagnosi invece è sempre uguale, come la bugia che contiene. «Potrebbe essere un accenno di pleurite. Piccolo, però».

Solo questa settimana, i medici hanno rilevato tre nuovi casi, tre nuove virgole, che si aggiungono alle altre 22 scoperte dall'inizio dell'anno. L'ultima era sulla radiografia di un uomo di 43 anni, sposato, con figli piccoli. Era andato a farsi visitare fuori, da uno specialista di Milano.

Il dottore gli ha detto di non fare quella faccia triste. Lui se n'è andato senza dire una parola. A Casale Monferrato non ci credono, alla pleurite. Vorrebbero, ma non possono. Tutti questi anni, e questi lutti, e ormai abbiamo superato le tremila vittime, hanno reso impraticabile anche l'esercizio della speranza, o dell'illusione.

Ieri il tribunale di Torino ha assegnato un risarcimento da record alla città che più di ogni altra è stata colpita dalla filosofia aziendale da homo homini lupus attuata dall'Eternit. I soldi, questa volta, sono davvero il segno di un danno che non si misura solo con la perdita di un figlio, di una madre, ma con il clima di ineluttabilità che riporta sempre al sarcofago di cemento che ricopre il vecchio stabilimento nel quartiere Ronzone, dove si lavorava l'amianto, la causa di quelle diagnosi pietose che nascondono il mesotelioma pleurico e l'assenza di ogni speranza.

La sentenza di Torino è un inizio, e non una fine. Non è ancora successo nulla. Ben prima dell'uscita dei giudici dalla camera di consiglio, gli avvocati di parte civile si sono chiusi in una stanza con i loro colleghi che difendono il magnate svizzero. La partita per ottenere quanto dovuto comincia ora, lo sanno tutti.

Nelle prossime settimane sarà avviata una verifica sui beni aggredibili di Schmidheiny. Ma anche questo primo atto dovuto si annuncia ben complicato. La normativa svizzera pone ostacoli di ogni genere, a cominciare dalla mancata esecutività immediata delle sentenze italiane. La parola magica è «delibazione», ovvero la conferma da parte dell'autorità giudiziaria elvetica del verdetto di ieri. Senza questo passaggio, non sono possibili neppure i sequestri preventivi.

La sentenza di ieri ha anche il risvolto amaro della cancellazione di oltre novanta famiglie dalla lista delle parti civili. La morte del coimputato, il barone belga Louis De Cartier, avvenuta lo scorso 21 maggio, ha fatto estinguere ogni reato e anche ogni pretesa di risarcimento delle persone a lui collegate nel processo penale. Il giudice non ha potuto che prendere atto di questa beffa.

«Mentre ascoltavo la lettura della sentenza con i nomi di tutti i morti, ho pensato che quel lungo elenco mi sembrava invece un inno alla vita». Raffaele Guariniello ha sempre coltivato il gusto del paradosso. «In fondo di questo si tratta: mettere l'uomo e la sua salute al centro di tutto. Aiutarlo a ribellarsi all'ingiustizia e all'umiliazione. Certe volte, la giustizia non è solo un sogno».

In cuor suo, il magistrato che più di ogni altro in Italia si è impegnato su questi temi, sa bene che quella di ieri è la sua vittoria, la più rotonda e definitiva di una carriera che ha avuto fasi da ottovolante. Ad aspettarlo in ufficio, c'era un avvocato di Lima, che voleva conoscere le istruzioni per l'uso. Eternit ha uno stabilimento anche in Perù, dove non si è mai riusciti ad arrivare a processo. In questi anni, sono giunte richiesta simili anche dal Canada, e soprattutto dalla vicina Francia.

Ieri un vecchio operaio gli ha posato sul banco un sacchetto di carta. Dentro, c'era una vecchia tuta dell'Eternit. Un altro anziano lo ha avvicinato per presentarsi. Era Italo, figlio di uno dei quindici operai che nel 1949 partirono per Rio de Janeiro, chiamati a lavorare nel nuovo stabilimento di Eternit Brasile. Questo processo è stato così, sempre in bilico tra passato e presente.

«A me sembra ingiusto che un uomo possa venire trattato in maniera diversa a seconda del posto dove vive» dice Guariniello. «Nessuno fa monitoraggio, nessuno si occupa di questa tragedia. Dovrebbero pensarci le organizzazioni internazionali, fare campagna di sensibilizzazione. Invece niente».

L'amianto uccide e ucciderà ancora. Ma questa consapevolezza non può comportare una resa. Comunque la si pensi sul suo conto, Guariniello è uno che si è sempre battuto. Le associazioni delle vittime faranno di tutto per avere quel denaro al quale da ieri hanno diritto. Da soli, dice il procuratore, non possono ottenere molto. Non aggiunge altro, ma il messaggio è chiaro. Ora tocca al nostro Stato, alla sua capacità di fare pressione internazionale sulla Svizzera.

L'Italia riesce a essere il Paese europeo più colpito dal mesotelioma e quello che investe meno nella ricerca contro questo male terribile. I plausi per le sentenze storiche durano lo spazio di un giorno. Le «pleuriti» invece continueranno a manifestarsi come una maledizione. A Casale Monferrato il picco delle vittime è atteso per il 2020. L'ineluttabilità del male non è una scusa per far finta di non vedere.

 

JEAN LOUIS DE CARTIER DE MARCHIENNE AL CENTRO DELLA FOTOemile DE_CARTIER_DE_MARCHIENNESTEPHNA SCHMIDHEINY SCHMIDHEINYSTRAGE ETERNITEternitETERNITRaffaele Guariniello