DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Walter Galbiati per “la Repubblica”
Se ne parla da anni, ma mettere d' accordo tutti su come tassare in maniera uniforme le multinazionali appare un' impresa impossibile. Perché in un mondo in cui l' aliquota fiscale è un' arma per sottrarre ad altri Stati le aziende che portano lavoro e soldi, non può essere altrimenti. L' ultima tappa nel tentativo di conciliare le diverse posizioni si è svolta a Parigi, lo scorso giugno, quando 71 Paesi si sono seduti intorno a un tavolo per sottoscrivere la convenzione multilaterale redatta dall' Ocse, l' Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che mira a introdurre misure fiscali omogenee per prevenire le pratiche di erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili.
L' Italia l' ha siglata, così come la Germania, la Francia e l' Inghilterra. E lo hanno fatto anche Paesi al centro di grandi scandali finanziari come il Lussemburgo, l' Olanda e l' Irlanda o altri ancor più spregiudicati come San Marino, Singapore, Monaco, l' Isola di Man e il Guernsey. Pure Cina e Russia hanno aderito, ma l' insuccesso dell' iniziativa sta nel gran rifiuto degli Stati Uniti.
Un rifiuto che ha ragioni ovviamente economiche perché tra le prime 500 multinazionali al mondo per volumi d' affari, ben 134 hanno sede negli Stati Uniti. E i loro consulenti fiscali sanno bene come far scivolare gli utili da una società all' altra dello stesso gruppo, specie nell' accogliente stato del Delaware, senza pagare tasse. Per di più l' arbitrarietà nell' adozione delle misure ridimensiona anche l' ampia adesione alla convenzione. In Europa sono state emanate addirittura due direttive al riguardo che si sovrappongono a quelle Ocse. L' incertezza della politica, che rasenta la connivenza, permette alle aziende di continuare a pianificare come e dove non pagare le tasse.
agnelli nipoti lapo john elkann
I meccanismi per eludere il fisco sono più che collaudati. Il più sicuro consiste nel concordare con lo Stato che ospita una propria controllata una base imponibile o un' aliquota fiscale (tax ruling), in genere più conveniente di quella vigente. È il caso di Apple in Irlanda e di Fca in Lussemburgo. La prima fin dal 1991 si è accordata con il governo per tassare solo una parte degli utili che le controllate irlandesi incassano da tutto il mondo, riuscendo a spuntare una aliquota prossima allo zero contro il già pur basso 12,5% che vige in Irlanda.
Oggi Apple ha più di 128 miliardi di dollari di liquidità offshore che dichiara non tassata e dall' ultimo bilancio risulta che dei 16 miliardi di tasse pagate, solo 1,6 miliardi sono andati ai Paesi esteri; tutte le altre sono finite nelle casse federali e statali Usa. Fca invece ha collocato in Lussemburgo la propria Tesoreria (la Fiat Finance & Trade) e ha spuntato un accordo che le permette di avere margini più bassi di quelli di qualsiasi altra società finanziaria che svolge lo stesso lavoro. Lo scandalo LuxLeaks ha rivelato 340 accordi simili di multinazionali con il Paese di cui l' attuale presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker era stato premier.
PROTESTE PER LE POCHE TASSE PAGATE DA APPLE
Qui siamo nell' ambito degli accordi, bollati come aiuti di Stato dalla Ue, mentre il giochetto che l' Ocse mira a scardinare si chiama Treaty shopping, l' abuso dei trattati, che permette alle multinazionali di spostare gli utili dai Paesi in cui vengono prodotti e dove la tassazione è elevata in paradisi fiscali passando attraverso una società, in genere olandese ("Dutch sandwich"), che si interpone garantendo, grazie a un trattato bilaterale, l' esenzione su dividendi, royalties e interessi.
Google, con questo escamotage, ha accantonato alle Bermuda circa 60 miliardi di dollari, senza versare un cent di tasse. Secondo l' Ocse, anche in Italia, grazie alla giungla di agevolazioni fiscali, ogni anno vengono sottratti al Fisco 260 miliardi di euro.
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