CINA-USA, PROVE DI INVASIONE RECIPROCA – I BIG USA, COME APPLE E MICROSOFT, SONO RIUSCITI A ENTRARE SUL MERCATO DI PECHINO, MENTRE FACEBOOK SCALDA I MOTORI – SULL’ALTRO FRONTE, DIETRO ALIBABA SI MUOVONO XIAOMI, HUAWEI E LENOVO

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Greta Slaunich per il “Corriere Economia - Corriere della Sera

 

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Sarebbe dovuta diventare la prima economia mondiale entro la fine dell’anno, ma al giro di boa del 2014 la Cina è ancora ferma al secondo posto dopo gli Usa. Poco male: il Paese asiatico resta il sogno proibito delle aziende tecnologiche, che dall’inizio dell’anno le provano tutte per garantirsi un posto in prima fila quando Pechino deciderà di aprirsi ai colossi occidentali. Il mercato interno promette bene, con una classe media di 500 milioni di persone e con 600 milioni di internauti, gran parte dei quali accede alla Rete dai dispositivi mobili.

 

Ma da decenni la censura del web impedisce ai big della Silicon Valley di entrare nel mercato, dove sono sorte alternative locali che ormai sono diventate grandi società di successo. Da pochi mesi, però, sembra che qualcosa stia cambiando. Anche se ancora non c’è stata una vera e propria svolta.

 

PRIMI PASSI

Il 2014 è cominciato con l’annuncio della partnership di Apple con il provider locale China Mobile per la vendita degli iPhone; subito dopo è arrivato il nuovo servizio in mandarino di LinkedIn, il social globale dedicato al lavoro. Nel frattempo il governo cinese ha deciso di rivedere il divieto di vendita delle console straniere, così a fine estate anche Microsoft ha lanciato la sua Xbox sugli scaffali dei negozi di Shanghai.

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In Cina esistono già il «Twitter cinese» Weibo e il «Facebook cinese» Qzone, ma questo non ha fermato Twitter e Facebook che lavorano da mesi per riuscire a far cadere il blocco ai loro siti. Tanto che lo stesso Mark Zuckerberg, pur di conquistare i cinesi, ha imparato il mandarino e lo ha sfoggiato durante un recente incontro con degli studenti locali. L’unica società che dalla Cina sta già ottenendo molto senza grossi sforzi è Yahoo!, grazie ad una buone fetta di azioni di Alibaba acquistata nei primi anni Duemila e ora, dopo la quotazione, ridottasi al 13%.

 

Mentre la Silicon Valley cerca il modo di superare i paletti imposti da Pechino, anche la Cina inizia a guardare fuori dai confini. Come ha fatto proprio Alibaba, il colosso di ecommerce che a settembre ha realizzato l’Ipo più ricca della storia.

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Fino al suo esordio a Wall Street in pochi sapevano cosa fosse, anche se arrivava da un 2013 in cui aveva gestito un valore di circa 250 miliardi di dollari di merci. Il punto debole della società, però, si nasconde in un dettaglio: Alibaba, nei suoi 15 anni di vita, ha infatti aggredito quasi solo il mercato interno cinese.

 

Ora però il ceo Jack Ma ha deciso di puntare all’estero e la prima mossa è stata invadere la scena globale con la quotazione.

Altre società hanno scelto strade diverse. Il produttore di computer Lenovo, per esempio, si sta espandendo oltre confine grazie alle acquisizioni: nel 2005 aveva comprato la divisione pc di Ibm, quest’anno ha bissato con quella dedicata ai server. Ma ha anche messo le mani su Motorola Mobility grazie ad un accordo con Google, mentre da mesi rispuntano i rumor che lo vorrebbero interessato pure a BlackBerry. Anche il produttore di smartphone Xiaomi e l’azienda di informatica Huawei puntano sui mercati occidentali, dagli Usa all’Europa.

 

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SUPERVALORE

Xiaomi, che ha solo quattro anni di vita ma è già una delle startup tech più grandi del mondo, ha annunciato un prossimo round di finanziamenti che dovrebbe portare la sua valutazione a salire fino a 40 miliardi di dollari. Il passo successivo potrebbe essere una quotazione in grande stile sulle orme di Facebook, che quando ha scelto di entrare in Borsa ne valeva già circa 50. Con una valutazione così alta, comunque, la società cinese tallonerebbe da vicino Uber, la regina delle startup che ora vale 41 miliardi. Ma presto anche il suo valore salirà, e proprio grazie ad un’altra società del Celeste Impero: il «Google cinese» Baidu. Che ha offerto 600 milioni di dollari alla società di car sharing per aiutarla ad entrare nel mercato locale.

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