1. LA BATTAGLIA DI VIA SOLFERINO SI AVVICINA ALLA FINE: L’ISOLATO JOHN ELKANN DA UNA PARTE COL 20% DI AZIONI CONTRO IL RESTO DEGLI SOCI GUIDATI DA DELLA VALLE (LA MEDIOBANCA DI NAGEL, CAIRO, L’UNIPOL-FONSAI DI CIMBRI, CARLO PESENTI E TRONCHETTI) 2. ANCHE L’AD CARLO MESSINA DI BANCA INTESA È SICURAMENTE PIÙ SULLA LINEA DEI NAGEL E GRECO: BASTA COI (COSTOSI) CIP “DI SISTEMA” E FOCALIZZAZIONE SUL CORE-BUSINNESS 3. IL SOGNO DEI RENZIANI CAIRO (LA7) E DELLA VALLE È QUELLO DI OCCUPARSI SOLTANTO DI CORRIERE E GAZZETTA, PUBBLICITÀ COMPRESA, CHE VALE OLTRE 300 MILIONI L’ANNO, SPACCANDO IN DUE IL GRUPPO. MA QUELLA DELLA BAD COMPANY È UNA STRADA COMPLICATA DAI TROPPI DEBITI - SPESSO CON GLI STESSI AZIONISTI BANCARI E QUINDI SEMINATA DI CONFLITTI D’INTERESSE – E DAL FATTO CHE IL GRUPPO È QUOTATO IN BORSA

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DAGOREPORT

In meno di sei mesi Mediobanca ha fatto fuori il 5% di Rcs e a fine febbraio è scesa sotto la soglia del 10%. Una soglia "sensibile" ai fini dell'obbligo di comunicazioni alla Consob, che è scattato proprio in questi giorni, e che riaccende i riflettori sulla grande battaglia che si combatte da mesi intorno al destino del gruppo che pubblica il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport.

Con lo scioglimento del patto di sindacato, lasciato scadere a fine ottobre dopo un sanguinoso aumento di capitale da 420 milioni, Rcs Media Group ha un azionariato dove gli equilibri sono fragilissimi. E fragilissimi sono anche gli equilibri finanziari, visto che gli ultimi dati sui conti, aggiornati ai primi nove mesi del 2013, registravano perdite dimezzate a 175 milioni, ricavi consolidati di poco inferiori al miliardo e un indebitamento ancora pericolosamente intorno a quota 550 milioni.

Non era un mistero che Alberto Nagel volesse pian piano disfarsi di una partecipazione troppo onerosa per fare da reggicoda a John Elkann, che con il 20% abbondante si è messo in testa di comandare la baracca da Torino. Fonti di mercato tendono a escludere che il pacchetto del 5% che porta Piazzetta Cuccia al 9,93% sia stato venduto a uno stesso soggetto. Sicuramente la dismissione è avvenuta in almeno due fasi e Mediobanca era già scesa al 12% da qualche tempo. La segnalazione di Borsa è scattata solo al sorpasso della soglia del 10%, che è soglia rilevante per gli obblighi di comunicazione al mercato.

E sempre per la griglia delle soglie rilevanti, va sottolineato che Fiat dovrebbe informare Consob solo se oltrepassasse lo scalino del 25%. Una mossa della quale per ora non vi sono sentori, ma che non stupirebbe certo chi oggi osserva che John Elkann appare molto ma molto determinato nel tenere ben salda la presa su Rcs. E questo nonostante le perplessità di Sergio Marchionne, che per quanto si sforzi, non riesce a capire la redditività dell'investimento editoriale per una azienda multinazionale come la Fiat-Chrysler.

Sul fronte opposto a Fiat, non è un mistero, c'è quel Diego Della Valle che da mesi fa roteare minacciosamente il suo 9%. E dopo l'ascesa a Palazzo Chigi di Matteo Renzi, assai critico sulla presenza delle banche nell'azionariato del Corriere, anche Urbano Cairo ha cominciato ad ammettere con i suoi interlocutori che "sì, le idee di Della Valle su Rcs sono ampiamente condivisibili". Il proprietario de La7, indicato dall'amico Mister Tod's come l'uomo che saprebbe come risanare Rcs, ha in mano quasi il 3% e poche settimane fa ha rifiutato di vendere a un'ottima cifra il suo pacchetto. Segno che la battaglia è in corso.

L'interesse di Cairo per Rcs, tuttavia, non è di tipo gestionale. All'editore alessandrino, partito come giovane assistente di Silvio Berlusconi e poi staccatosi per fondare Cairo Communication, interesserebbe la raccolta pubblicitaria di via Solferino, che vale oltre 300 milioni l'anno. Tuttavia la sua immagine di "editore puro" è assai utile per guidare un'ipotetica cordata che si sostituisca alle banche. Non senza la benedizione dei nuovi equilibri politici sommariamente indicati con il nome di "Renzusconi".

Nell'azionariato di Rcs sono rimasti impigliati, con ormai scarsa soddisfazione, anche Intesa Sanpaolo (5,1%), Fonsai-Unipol (5,4%), Pirelli (5,4% ) e Italmobiliare (3,8%). A Milano si mormora che Tronchetti Provera starebbe solo aspettando il momento migliore per salutare l'ex salottino editoriale minimizzando le perdite. I Pesenti sono arci-stufi e hanno fatto un passo indietro dalla gestione, lasciando campo libero ai torinesi rampanti.

Il banchiere Cimbri, alla guida di Fonsai-Unipol, ascolta parecchio i consigli dell'amico Nego Nagel e dunque potrebbe presto far fuori anche lui il suo 5%, mentre in Intesa la situazione è ancora poco chiara. Ma la si può riassumere azzardando la risposta alla domanda delle domande: quanto pesa ancora il ruolo del presidente Abramo Bazoli? Perché l'ad Carlo Messina è sicuramente più sulla linea dei vari Nagel e Greco, gran capo delle Generali: basta con i (costosi) cip "di sistema" e massima focalizzazione sui rispettivi core-businness.

Molto indicativa, in tal senso, la battuta sfuggita a un importante manager bancario nei giorni scorsi: "Una volta gli Agnelli, i Pirelli e i Pesenti usavano l'argent de poche per i loro divertimenti editoriali, ma oggi i giornali sono giocattoloni troppo costosi e nessuno ha più tanti soldi in cassa da sprecare". Morale? Vendere.

In attesa di capire le prossime mosse della Fiat e di scoprire se dietro al ticket Della Valle-Cairo c'è qualche cavaliere bianco misterioso (e più danaroso), resta da capire anche come sia possibile guadagnare dei soldi con la Rizzoli di oggi.

Atteso che tra gli azionisti si guarda con grande interesse e curiosità all'azione di responsabilità verso il vecchio management di Seat Pagine Gialle, nell'ipotesi di replicarla anche in via Solferino, va detto che il sogno di Cairo e Della Valle è quello di occuparsi soltanto di Corriere e Gazzetta, pubblicità compresa, spaccando in due il gruppo.
"Bella forza", replicano ai piani alti del Corriere, dove evidentemente qualche pensierino ce l'hanno già fatto.

Ma quella della bad company è una strada complicata dai troppi debiti - spesso con gli stessi azionisti bancari e quindi seminata di conflitti d'interesse - e dal fatto che il gruppo è quotato in Borsa. Proprio la quotazione a Piazza Affari, però, consente di potersi godere in poltrona la battaglia che sta per scatenarsi per il comando di via Solferino.

 

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