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Susan Berfield e Lindsey Rupp per “Bloomberg Businessweek”
Michael Jeffries è stato presidente e amministratore delegato di “Abercrombie” per 22 anni, controllando ogni aspetto dell’azienda, dai capi di abbigliamento all’esercito di impiegati bellocci che presidiavano senza maglietta le entrate dei negozi. Istruiva lo staff, decideva come ci si doveva presentare da capo a piedi, si occupava dei cataloghi che molti hanno definito “pornografici”.
In pratica, ha costruito un impero. E ci teneva a mantenersi giovane, come i suoi clienti. A 70 anni si tingeva i capelli di biondo e faceva regolare visita al chirurgo estetico, indossava jeans e girava per gli uffici in infradito. Ma le vendite sono crollate negli ultimi cinque anni, lo stipendio di Jeffries è stato tagliato del 70%, e lo scorso dicembre lui ha lasciato la società. Fine di un’era.
“Abercrombie” è una società che vale 4 miliardi di dollari, con mille negozi in diciannove paesi. Il look definito da Jeffries, dagli anni ’90 è cambiato poco o niente. Stessi modelli con addominali scolpiti su foto in bianco e nero. Stesse magliette, jeans, felpe, stesso logo, insomma tutto quello che lui chiamava “essenza del privilegio e casual di lusso”.
L’attitudine conformista, sexy, esclusiva, non si è evoluta, ma i giovani sì che si sono evoluti, e vanno a fare a shopping all’economico “H&M”. Jeffries non si è mai sognato di fare sconti. Fino a un anno fa si rifiutava di realizzare taglie più grandi per le donne e di accendere la luce nei negozi “Hollister”. Solo recentemente ha fatto abbassare la musica negli store e ha diminuito la quantità di profumo spruzzato nelle sedi.
Il quartier generale della “Abercrombie” vale 130 milioni di dollari, si compone di 12 edifici e si espande per 300 acri a Columbus, in New Albany. Anche le guardie ai cancelli sono in jeans e maglietta. Gli impiegati girano in scooter. Nel parco ci sono panchine e luoghi preposti ai falò. C’è una palestra attrezzata e un ristorante che serve tre pasti al giorno. Quando Jeffries arrivò, la “Abercrombie & Fitch” aveva quasi un secolo, specializzata in abbigliamento per l’élite (i suoi capi erano indossati già da Teddy Roosevelt e Ernest Hemingway).
Fu lui che puntò sulla moda giovane. Nel 1996 scrisse il “Libro del Look” per il suo staff: niente tatuaggi, niente gioielli, capelli lunghi e naturali, niente baffi o barba per gli uomini, niente trucco e unghie colorate per le donne. I manager dedicavano un giorno a settimana a reclutare i commessi dei negozi. Jeffries faceva raid senza preavviso negli store per accertarsi che tutto fosse come aveva ordinato. Una specie di operazione militare, dove tutto era controllato, anche il modo in cui andavano esposti i capi in negozio.
Nel 1997 mise a punto il magazine “A&F Quarterly”, convocando il fotografo Bruce Weber. Suoi modelli sono stati Taylor Swift, Jennifer Lawrence e Channing Tatum. Quando gli affari andavano bene, Jeffries dava feste a casa sua, con tanto di modelli invitati. Quando viaggiava, inviava una spedizione qualche giorno prima per assicurarsi che la stanza d’albergo fosse come la voleva. Creò un mondo di fantasia a cui tanti adolescenti volevano partecipare.
Per dieci anni, i profitti aumentarono esponenzialmente. Nel 2001 iniziò la recessione, ma lui non volle abbassare i prezzi. Da allora, a causa delle sue scelte poco inclusive, il marchio è stato spesso tacciato di razzismo. Studenti con origini ispaniche, asiatiche e africane, gli hanno fatto causa per discriminazione. In ufficio, chi non la pensava come lui, veniva presto mandato a casa. Esisteva un manuale di 40 pagine anche per l’aeroplano “Abercrombie”: i quattro membri dell’equipaggio, tutti modelli maschi, dovevano indossare jeans, boxer, polo e infradito. Il manuale specificava come dovevano essere i sedili per i tre cani di Jeffries e la lunghezza che doveva avere il suo cucchiaino da tè.
In una ricerca del 2013 si chiese a un campione di adolescenti quali marchi non volevano più indossare: “A&F” e “Hollister” erano rispettivamente al secondo e terzo posto, “Aéropostale” al primo. Lo stesso hanno “Abercrombie” fu costretta a chiudere 220 dei suoi rivenditori.
Per creare il successo della società c’è voluta una visione dominante, orientata ai dettagli, un’ossessione per il controllo, ma è anche ciò che ha impedito qualsiasi evoluzione. Ora che Jeffries non c’è più, la società promette che le cose cambieranno: i negozi saranno meno maniacali dal punto di vista dell’ordine e si occuperanno più dei clienti, i commessi indosseranno almeno la maglietta. C’è poi la questione logo, da rivedere. Altri negozi chiuderanno, visto che il 40% di guadagni ora provengono dalle vendite on line.
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