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Paolo Griseri per “la Repubblica”
Nei giorni dello shopping francese sulle aziende italiane (Orange su Telecom e Vivendi su Mediaset i gossip più insistenti), Lavazza va in controtendenza e acquista le attività europee di Carte Noire, gruppo francese della tazzina.
Un’operazione da 700 milioni di euro finanziata in parte con le plusvalenze generate dalla vendita della partecipazione in Keurig-Green Mountain e in parte da un prestito da 400 milioni finanziato da banche italiane e francesi. Le attività Carte Noire in Francia valgono 250 milioni di fatturato, rappresentano il 20% delle vendite nei supermercati e dovrebbero far crescere i ricavi del gruppo torinese a 1,7 miliardi nel 2017.
Il fatturato 2015 infatti dovrebbe aggirarsi intorno agli 1,4 miliardi in crescita dell’8% sull’anno precedente. L’obiettivo dichiarato di Lavazza è quello che illustra l’ad Antonio Baravalle: «Creare un terzo polo del caffè a livello mondiale unendo in un unico gruppo i produttori regionali».
Oggi il mercato della tazzina è dominato da Nestlè che da sola rappresenta il 35% delle vendite allo scaffale con un fatturato retail di oltre 13 miliardi. «Fino a pochi anni fa — spiega Baravalle — il mercato era costituito da un grande produttore e da una miriade di piccoli. Poi è iniziato anche nel caffè un processo di concentrazione simile a quello che si è verificato nel mondo della birra».
Così, accanto a Nestlé, si è creato un polo alternativo. Con 8,5 miliardi di fatturato allo scaffale il gruppo Jab ha ormai circa il 20 per cento del mercato. Da questa seconda aggregazione è nata indirettamente l’operazione Lavazza-Carte Noire. L’antitrust europeo infatti ha imposto a Jab di cedere le attività del marchio del caffè francese.
L’offerta degli italiani ha battuto la concorrenza dei fondi. «È un fatto positivo che sia stata scelta una soluzione industriale », sottolinea Baravalle. Lavazza rileverà così lo stabilimento di Lavérune, nel sud della Francia, che occupa 140 persone.
Un cavallo di Troia: nello stabilimento infatti si producono le capsule del format Nespresso e per la prima volta Lavazza potrà mettere le mani su quella che l’amministratore delegato chiama con malizia «una tecnologia ormai disponibile a tutti». Anche se non è ancora deciso l’eventuale salto a capsule Lavazza che siano Nespresso — compatibili.
Le conseguenze sugli impianti produttivi italiani dovrebbero essere positive. Perché accanto all’acquisizione francese Lavazza ha realizzato nei mesi scorsi uno shopping nei paesi baltici rilevando il marchio Merrild. La produzione per Danimarca e paesi del Nord Europa verrà fatta in Italia a Settimo Torinese.
julia roberts, bonolis e laurenti nel nuovo spot lavazza
Dopo l’acquisizione francese (e il necessario periodo di assestamento che potrebbe durare fino a fine 2017) la prospettiva è quasi inevitabile: la quotazione in Borsa. Sul punto i Lavazza sono molto prudenti:«Vogliamo mantenere la nostra indipendenza che in 120 anni di storia è stato uno dei cardini della filosofia aziendale», dice Giuseppe, vicepresidente con il cugino Marco.
Quest’ultimo spiega: «La Borsa serve per chi vuole sprintare, noi siamo maratoneti». Ma intanto si stanno preparando i presupposti per l’Ipo. Nel board sono presenti come indipendenti Gabriele Galateri, Antonio Marcegaglia, Pietro Boroli, presidente di De Agostini.
Recentemente è arrivato dalla Rai un cfo di esperienza come Camillo Rossoto. Giuseppe ammette: «Oggi non ci serve ma quella della Borsa è una possibilità ». Spiega l’ad: «Dobbiamo preparare tutto in modo che se un giorno decideremo di accendere la macchina della quotazione, tutti i meccanismi siano oliati ».
L’obiettivo è quello di raggiungere nel 2020 i due miliardi di fatturato. Un livello di ricavi che si può ottenere anche senza nuove acquisizioni. Ma a quel punto Lavazza sarebbe la più grande delle piccole dopo i due colossi del retail. E allora «sarà importante sedersi da posizioni di forza al tavolo di un nuovo consolidamento», spiega Baravalle.
julia roberts, bonolis e laurenti nel nuovo spot lavazza
Per creare il grande polo dei produttori regionali (quasi sempre in mano a una sola famiglia) serviranno finanziamenti. Ecco perché se Lavazza vuole diventare leader nella piccola industria del caffè avrà inevitabilmente bisogno di andare a Piazza Affari. Il 2020 è dietro l’angolo.
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