DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Cristiana Lauro per Dagospia
“Ciò che più mi indigna è che noi italiani siamo ancora così ingenui da affidare i successi dei nostri ristoranti, nonostante i passi da gigante che il settore ha fatto, a una guida francese ... La passione per la cucina non può essere subordinata ai voti”... (Gualtiero Marchesi).
Se lo diceva il compianto Gualtiero Marchesi, che per primo ricevette tre stelle dalla guida dei ristoranti Michelin nel 1985, c’è da crederci. Già, perché senza Marchesi la cucina italiana non parlerebbe al mondo intero attraverso Davide Oldani, Paolo Lo Priore, Enrico Crippa, Carlo Cracco, Vincenzo Camerucci e una sfilza di altri allievi che con idee, cucina e sudore raccontano la parte migliore di un’antologia talvolta avvilita dall’endemica incapacità, tutta italiana, di proteggere i suoi primati.
Gualtiero Marchesi non aveva tutti i torti. Ci inchiniamo a una guida francese che considera la ristorazione italiana poco e niente, se facciamo il conto delle stelle attribuite qui da noi contro quelle assegnate in Francia. E dire che abbiamo un buon numero di gastronomi, esperti di materie prime, palati fini e competenti che nulla devono alla critica francese.
Ma è conveniente sotto il profilo economico rincorrere le stelle? Produce soldi e fama - solo gli uni o soltanto l’altra - o è meglio lasciar perdere?
Nel codice comune il termine “stellato” si riferisce il più delle volte a un ristorante cui é stata attribuita una stella Michelin. Per sgomberare il campo da equivoci, chiarire le distanze sul podio e fare un po’ di casino che ci piace tanto, si utilizzano, in risposta, un paio di neologismi strampalati come “bistellato” e “tristellato” che dovrebbero ristabilire ruoli, gerarchie e cuginanze al di là di eventuali, sgradite parentele bastarde.
La stella è un riconoscimento internazionale di tutto rispetto, ma mi piace intenderla come fenomeno di intuizione da parte della guida che mette la fiche sul ristorante dandogli la possibilità di intraprendere un processo di crescita. Quindi un servizio utile e vantaggioso, come dimostrano buona parte dei ristoranti italiani che detengono le stelle e le conservano da anni.
Ma un ristorante privo di stella Michelin che offre qualità attraverso un servizio di sala che mette in agio il cliente, dove non si trova un tavolo libero di lunedì a Roma, Milano, Torino, Verona, Bologna e via dicendo, che bisogno ha delle stelle, al di là del loro indubitabile prestigio? Sono campi diversi, ma la domanda, a ben riflettere, non è così bislacca giacché - dati visibili a tutti, per quanto eterogenei - una parte dei ristoranti premiati negli ultimi anni dalla guida Michelin fatica a stare a galla.
Non che la responsabilità sia ascrivibile agli ispettori della rossa francese - ci mancherebbe - ma prima di scendere in gara sarebbe meglio guardarsi intorno e fare una botta di conti, anziché inseguire un titolo che comporta l’adeguamento a parametri stabiliti dai critici francesi e non dal pubblico, ovvero dai clienti.
Di contro, prima di blandire Tripadvisor (per carità, ci mancherebbe) credo sia opportuno rimettere in fila i padri gastronomi italiani spesso confusi fra blogger, opinion leader, influencer e testimonial da una rete che ha democraticamente rotto argini e coglioni. Posso dirlo? Ma sì dai, tanto sono solo una cliente.
Per non sbagliare, quando mi serve una dritta su un ristorante, un prodotto o chi lo produce, mi affido, da sempre, a questi nomi:
Allan Bay
Enzo Vizzari
Luigi Cremona
Andrea Grignaffini
Elsa Mazzolini
Paolo Marchi
Aldo Fiordelli
Edoardo Raspelli
Paola e Gianni Mura
Davide Paolini (merita un bonus: un vero formichiere per scovare chicche gastronomiche anche a prezzi ragionevoli)
Clara Barra
Valentina Marino
A Roma non mi ha mai tradito Puntarella Rossa. Quanto al critico mascherato, Valerio Massimo Visintin, dico con simpatia e così per gioco: leggetelo perché scrive benissimo, ma non provate i ristoranti che consiglia.
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