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Fabio Pavesi per la Verità
Nel casus belli Etruria-Boschi c' è da chiedersi paradossalmente cosa sarebbe accaduto se il ministro (o meglio il governo per ragioni evidenti di opportunità) si fosse interessato alla crisi della banca aretina ben prima dell' improbabile offerta dell' altra malandata cronica, cioè la Banca Popolare di Vicenza, di Zonin. Se il governo si fosse davvero preoccupato da vicino e fosse intervenuto per tempo forse il crac e il bagno di sangue dei risparmiatori-soci sarebbe stato evitato.
La verità è che proprio l' assenza della politica e di un intervento drastico dei regolatori hanno permesso colpevolmente la discesa verso il baratro. I segnali d' allarme del tutto inascoltati erano considerevoli e di vecchissima data.
Eccoli. Uno dei segnali anomali era in quel folle acquisto di titoli di Stato. Etruria inizia a fine 2011 a comprare a più non posso bond del Tesoro, ben 2,1 miliardi, cifra già consistente. Poi il boom: si sale a 5,4 miliardi per poi raggiungere il tetto dei 7 miliardi nel 2013. La banca locale si trasforma in una piccola Goldman Sachs: ha attività finanziarie (i Btp) a rischio basso o zero che equivalgono alla metà dell' intero bilancio. Un primato sospetto.
Nessuna banca italiana ha un livello di Btp così ingente sul bilancio. Quell' amore per i titoli pubblici ha una precisa ragione: i Btp servono infatti a fare proventi straordinari che compensino la brusca impennata delle perdite sulle sofferenze che cominciano a emergere. Un modo per coprire la malattia che si stava manifestando. Nessuno l' ha voluto vedere.
L' altro segnale trascurato è del febbraio del 2012. I vertici licenziano l' agenzia Fitch, che ha da poco assegnato un rating junk («spazzatura») alla banca. È, tra le banche medie italiane, quella messa peggio. Gli analisti spiegano la bocciatura con la mole delle sofferenze, già nel 2011 a un livello doppio rispetto alla media del sistema. La banca però - che ha già oltre 230 milioni di subordinati sul mercato - non può permettersi di rinunciare tout court a nuovi collocamenti.
I subordinati aiutano a incrementare i requisiti di patrimonio che verranno messi a dura prova dalla montagna di crediti in sofferenza. Gli investitori professionali lo sanno e stanno alla larga. Cosa fa abilmente Etruria? Piazza i subordinati alla piccola clientela. Lo scrive ingenuamente anche nei bilanci 2012-2013, che nessuno va a leggere. Si va a «granulizzare» la raccolta. Bond rischiosi offerti alle vecchiette, tra l' altro con una cedola bassissima, il 3,5%. Due piccioni con una fava. Si vende ai piccoli (prodotti rischiosi) pagando un rendimento poco costoso per la banca.
Già ma come sta la banca? Messa male, molto male, già nell' estate del 2013. Il prospetto vidimato da Consob è pieno di avvertenze di rischio. Soprattutto evidenzia come a metà 2013 la banca abbia crediti malati lordi che sono oltre il 30% del portafoglio, più del doppio delle altre banche. Peccato che il prospettone non sia comprensibile al cliente medio. E soprattutto Consob non si preoccupa poi di verificare a chi siano finiti quei bond. Per la Consob la forma è salva, ma non la sostanza, perché quel collocamento granulare ebbe grande successo. Un' altra anomalia: Bankitalia rilevò, già nel 2010 in una delle primissime ispezioni, il nodo della sottovalutazione enorme delle partite creditizie in difficoltà. Per gli ispettori «i crediti in default si approssimano al 14% dell' erogato». Un numero elevatissimo per l' epoca, dato che l' esplosione delle sofferenze per le banche italiane non era ancora drammatica.
protesta dei risparmiatori davanti banca etruria 7
Lo era già per Etruria, invece. Il totale dei crediti deteriorati per Banca d' Italia era già nel lontano 2009 poco sopra il miliardo, mentre per la banca erano solo 235 milioni. Un abisso nelle valutazioni. Da quel lontano 2010 in poi partirà quel gioco a rimpiattino tra i vertici della banca, che continueranno a sottostimare l' enorme mole di sofferenze che si accumulava e la Vigilanza, che continuerà a bacchettare cda e sindaci senza prendere però di petto la faccenda.
Nel mentre ecco spuntare gioco forza le prime perdite sui crediti. Dal 2012 è un collasso: la banca svaluterà da allora in poi sofferenze per oltre 1 miliardo. Altro che fulmine a ciel sereno. L' ultimo segnale è nella posizione corta (cioè in vendita allo scoperto sulle azioni) montata da Kairos su Banca Etruria. Una posizione che lungo tutto il 2014 arriva a toccare il 3% del capitale, rendendo il fondo Kairos il primo socio della banca di Arezzo.
renzi con il padre suo e di boschi e rosi di banca etruria stile amici miei
Un socio però che - conscio della pericolosità del titolo - si era messo al ribasso sul prezzo, sicuro di trarre guadagno dalla caduta del titolo. Più chiaro di così. Eppure nessuno tra chi dovrebbe intervenire fa una piega. Come si vede, Etruria va incontro fin dal 2009-2010 a una lenta decozione, acceleratesi dal 2011 in poi con Pier Luigi Boschi insediato nel cda e poi divenuto vicepresidente, nel 2014. Un arco di tempo lunghissimo per le condizioni critiche della banca. C' è davvero da chiedersi: dov' erano allora la Boschi, il governo, Bankitalia e Consob?
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