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Cominciamo dalle buone notizie: per i mercati il rischio di default di Unicredit è più basso di quello di Deutsche Bank. Siete consolati? Forse lo sarete meno quando scoprirete che lo scarto sui credit default swap tra le due banche è di soli venti punti base (265 a 245). Ok, ora passiamo al resto: nonostante la fiducia incassata last minute dal cda, più per placare l’attacco speculativo che per vera convinzione, Ghizzoni continua a ballare.
In vista dell’assemblea di aprile, dopo l’attacco diretto di Del Vecchio, comincia a scricchiolare pure l’asse Palenzona-Montezemolo-Caltagirone che tiene in piedi l’attuale management. E’ Calta in particolare a scalpitare: l’amministratore delegato, con la sua flemma, non è abbastanza efficace. E non intende perdere altri soldi nel gigante ferito: il titolo, che fino all’estate scorsa era stato un ottimo investimento per il costruttore romano, ha perso oltre metà del valore in borsa negli ultimi sei mesi.
Nagel oggi si dice fedele alla maglia Mediobanca, e in effetti la sua candidatura al posto di Ghizzoni, molto accreditata in questi giorni, si sarebbe appannata dopo le recenti vicende in Generali. E’ chiaro infatti dall’uscita di Greco (e potrebbe esserlo ancora di più con l’arrivo al comando di Philippe Donnet) che Bolloré dopo anni di apparente letargo, ha imposto un’accelerazione fortissima ai suoi “possedimenti” italiani.
Dopo l’operazione-Greco, Nagel è ormai visto come uomo di Bolloré. E metterlo al comando di Unicredit vorrebbe dire consegnare la banca in mano al finanziere bretone, che già fa il padroncino in Mediobanca, Telecom, e Generali. Un po’ troppo, anche per l’ipotecato e sbaraccato salotto buono nostrano.
Così gli arabi, primi azionisti della banca, si sono messi in moto e avrebbero dato mandato a due head hunter (si tratterebbe di Maurizia Villa di Korn Ferry e Carlo Corsi di Spencer Stuart) di sondare il terreno. Anche perché la lezione delle assicurazioni triestine, che si sono trovate scoperte da un giorno all’altro e ora potrebbero non avere una guida per settimane, è lì davanti a tutti.
Privatamente, i manager del fondo Aabar avrebbero già individuato il successore: il loro favorito è Flavio Valeri di Deutsche Bank in Italia (vedi, alle volte, gli incastri del destino), ma dovranno in ogni caso concertarsi con BlackRock, secondo socio, per determinare la nuova gestione. Sempre nel novero dei papabili ci sono Andrea Orcel di Ubs e Andrea Munari, anche se questo è un po’ troppo fresco di nomina al vertice di Bnl.
Ghizzoni spera, se le cose dovessero andare male per lui, di tenere la presidenza, visto che Giuseppe Vita è sicuramente alla fine del mandato. Il suo ticket ideale sarebbe con il suo delfino Gianni Franco Papa, al momento vice direttore generale e responsabile del corporate & investment banking. Gli arabi non sarebbero d’accordo: se si cambia, si cambia. Da qui ad aprile, la partita è aperta.
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