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DAGOREPORT
Facciamo un giro negli inferi bancari. Mentre oggi gli istituti coinvolti nel risiko tornano a crollare (perdono tutte tra il 5 e il 10%), Saviotti (Banco Popolare) corre velocissimo verso le nozze con Bpm: ''Basta un mese, e non serve neanche un aumento di capitale''. Bisogna capirlo. Il povero cerca infatti di sfuggire al golem Montepaschi, che il governo cerca di appioppare a tutti. Queste sono le opzioni, in ordine di preferenza, sul tavolo di Renzi, che la settimana scorsa ha convocato il ministro del Tesoro Padoan per ribadirgli la necessità e l'urgenza di ''salvare'' Mps:
- BancoPosta
- Ubi+Bpm
- Unicredit
- Intesa
- solo Ubi
Come si vede, il premier non vuole acquirenti dall'estero. Odia l'idea di un sistema bancario, e dunque un Paese, preda degli stranieri. Già Telecom, Mediobanca, e aziende chiave come ENI, Snam e Terna hanno azionisti forti che non parlano italiano, il trend si deve fermare. Lo stesso discorso Renzi lo ha fatto per Generali (ma se ne parlerà in un altro Dagoreport).
L'orgia a tre Mps-Ubi-Bpm, oltre a essere un'operazione praticamente inedita, è l'opzione che diluirebbe al massimo il mare delle sofferenze, aumentando però esuberi e tagli di costi. E' vista male dagli ad di Mps e Bpm, Fabrizio Viola e Giuseppe Castagna, che verrebbero detronizzati in favore di Victor Massiah: la sua Ubi al momento è quella con la capitalizzazione maggiore, e ha anche una percentuale di crediti in sofferenza sul totale dei prestiti (15,5%) che non spaventa i manager (quelli di Mps sono al 34,7% degli impieghi).
L'idea Poste naturalmente non piace all'ad Francesco Caio, che ha appena quotato il gruppo – in maniera non brillante, visto il clima in borsa – e sa che i suoi azionisti non capirebbero l'operazione. Che è un modo per dire che la capirebbero benissimo: un salvataggio di Stato per una banca che nessun altro vuole. Lunedì, quando su ''Repubblica'' è apparso l'articolo che rivelava il piano, il titolo Poste ha sofferto parecchio.
Messina e Ghizzoni non si fanno avanti, e per entrambi c'entra il problema governance. In Intesa sta per cambiare tutto (almeno sulla carta), e non è facile digerire il macigno senese nel passaggio duale-monistico e Bazoli-Gros Pietro.
In Unicredit invece le voci di una resa dei conti in assemblea sono sempre più rumorose. Alcuni soci non apprezzano il delfino di Ghizzoni, Gianni Franco Papa, vice-direttore generale con supervisione sui mercati ''profumati'', ovvero la Mitteleuropa conquistata (con alterne fortune) da Alessandro Profumo.
Palenzona vuole sostituire Ghizzoni con Nagel, anche per sottrarlo dall'influenza soffocante di Bolloré, che è diventato il vero kingmaker delle blue-chip italiane.
L'ultima opzione (solo Ubi) resta sul piatto. Oggi Massiah non la esclude, e si dice disponibile anche all'ingresso di Bpm nel mucchio. Ma lo dice chiaramente: ''Bisogna capire fino in fondo il discorso delle garanzie del governo che stiamo studiando''.
Ovvero: se la bad bank si può davvero incollare un bel po' dei crediti in sofferenza di Mps (che sono difficili ma non tutti marci), allora entrare da conquistatore a Siena non sarebbe poi male. Soprattutto se va in porto l'operazione parallela Bpm-Banco e Ubi dovesse restare sola soletta nel mare pericoloso delle banche medie e regionali.
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