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Federico Rampini per "la Repubblica"
Una crisi argentina ogni dieci anni è quasi una regola. Ma stavolta l'allarme dilaga ben oltre. Tutte le potenze emergenti vanno in fibrillazione. Fino a contagiare con pesanti ribassi le Borse occidentali, da Wall Street all'Europa. Tornano alla memoria scenari-catastrofe di due decenni fa: la crisi dei "tequila bond" messicani nel 1994, la febbre asiatica del 1997 che dalla Thailandia stese tutti i dragoni d'Oriente.
Attenzione, oggi queste economie non sono più periferiche, gli emergenti pesano molto più di allora, il danno che possono infliggere è superiore agli anni Novanta. S'inventano affannosamente nuove sigle per catturare la dimensione della crisi: i Brics (Brasile Russia India Cina Sudafrica) si trasformano nei "Fragile Five", le cinque potenze fragili. L'area del rischio include medie potenze come Turchia e Indonesia, Thailandia e Cile, oltre all'Ucraina dove le violenze di piazza evocano scenari da guerra civile.
Il problema per gli investitori occidentali: queste nazioni erano diventate le locomotive della crescita. Erano destinazioni appetite per i nostri esportatori, e i nostri risparmi in cerca di rendimenti superiori. Ciascuna di queste crisi è una storia a sé, diversa dalle altre, con episodi locali che spiegano l'esplodere di turbolenze improvvise. Il Brasile era in tensione già l'anno scorso: per il malcontento popolare dopo i rialzi delle tariffe pubbliche, per i troppi sprechi e casi di corruzione legati ai Mondiali di calcio.
L'Ucraina da mesi si dilania tra un'opinione pubblica filo-europea e un presidente ricattato da Putin. Le differenze sono enormi e tuttavia "l'arco di crisi globale" ha due cause comuni, che vengono da lontano. La prima, paradossalmente, è positiva: è la ripresa americana. La seconda è il rallentamento della crescita in Cina. Due storie divergenti, riguardano le due maggiori economie del pianeta, e vanno seguite da vicino. La ripresa degli Stati Uniti è un'ottima notizia, salvo per le sue conseguenze monetarie.
Finora la banca centrale Usa ha stampato dollari energicamente per rilanciare la crescita e l'occupazione. Poiché le frontiere sono aperte e viviamo in un sistema di vasi comunicanti, molti di quei dollari stampati dalla Federal Reserve sono finiti altrove: per esempio nelle Borse dei Brics, che parevano promettenti. Invasi dai capitali stranieri, i Paesi emergenti hanno preso delle cattive abitudini. Viziati dall'abbondante liquidità , hanno finanziato progetti d'investimento faraonici e non sempre produttivi; hanno cominciato a vivere al di sopra dei loro mezzi.
L'Argentina si distingue come una campionessa di malgoverno, con un'inflazione galoppante al 25%. Ma dietro di lei, dal Venezuela all'Ucraina, altri hanno dissipato la manna monetaria. Ora che l'alta marea si ritira, si scopre chi stava nuotando senza costume, secondo la battuta di Warren Buffett. L'alta marea finisce perché la Fed comincia a normalizzare il suo comportamento.
La droga monetaria non è più necessaria, per lo meno non in dosi così massicce, visto che il paziente americano sta meglio. In Cina il rischio è di segno opposto. Un rallentamento del boom cinese era logico e atteso da anni, visti i segni di surriscaldamento eccessivo (come la bolla speculativa immobiliare a Pechino e Shanghai). Ma l'ultimo dato sull'attività manifatturiera sembra rivelare una frenata brutale, anziché un rallentamento morbido.
Inoltre nessuno sa bene quanti problemi siano nascosti nel sistema bancario cinese (e ancor più nelle "banche-ombra"). In passato sono stati finanziati maxiinvestimenti guidati da ambizioni politiche, megalomania di questo o quel gerarca locale, o avidità di tangenti da parte della nomenclatura comunista. Il fresco leader Xi Jinping sembra intenzionato a mettere ordine nelle banche e questo può contribuire a frenare la crescita.
Il rallentamento di Pechino colpisce a catena tutti quei Paesi che esportano materie prime verso la Repubblica Popolare: dal Brasile all'Indonesia, dal Sudafrica al Cile, gran parte delle nazioni emergenti sono diventate vulnerabili al ciclo cinese. La Fed ritira il credito facile; la Cina restringe i suoi acquisti: queste due novità sono l'equivalente di un pugno alla mascella seguito in rapida successione da un colpo alla milza.
Molte nazioni emergenti sono colte alla sprovvista. I risparmi dei loro ceti benestanti fuggono all'estero per paura del peggio. Alcuni governi già hanno dovuto svalutare e al tempo stesso introdurre divieti di esportazione di valuta. Le fughe di capitali dai Brics sono dell'ordine di due miliardi a settimana, ma potrebbero decuplicarsi, e allora sarebbe vero panico.
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