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Massimo Gaggi per il Corriere della Sera
«Combatterò fino all'ultimo respiro, fino al mio ultimo giorno di vita per distruggere Android perché è un prodotto rubato. Andrò alla guerra termonucleare».
Le rabbiose parole consegnate da Steve Jobs al suo biografo Walter Isaacson quando già la malattia non gli dava più scampo, sono tornate in mente a molti l'altra sera, mentre Velvin Hogan, un ingegnere esperto di tecnologia «hard drive» finito nella giuria del processo Apple-Samsung, leggeva la sentenza che condanna il gruppo coreano a pagare un indennizzo di un miliardo di dollari per una serie di violazione dei brevetti della società di Cupertino.
La supermulta è il minore dei mali per Samsung, primo produttore di «smartphone» del mondo che l'anno scorso ha realizzato un fatturato di quasi 250 miliardi di dollari, guadagnando oltre 18 miliardi.
Il vero guaio è che adesso Apple potrebbe chiedere al tribunale un'ingiunzione per i ritiro dal mercato dei terminali incriminati (che, comunque, non sono i più recenti). E in futuro ogni nuovo prodotto, ogni nuova soluzione tecnica adottata dalla Samsung andrà attentamente soppesata per evitare nuove contestazioni: un bel freno per una società che da anni cresce a ritmi esponenziali.
Tanto più che Apple, resa baldanzosa da questo straordinario successo in sede giudiziaria, potrebbe allargare il fronte d'attacco. Ad altri prodotti Samsung, ma anche agli altri costruttori di terminali che utilizzano il sistema operativo Android (come la cinese HTC). Fin qui, infatti, nonostante tutto il risentimento di Steve Jobs nei confronti di Google, da lui accusata di aver raccolto, quando era partner di Apple, gli elementi che poi ha riversato in Android, la società di Cupertino non ha trascinato in tribunale direttamente i rivali di Mountain View.
Non lo ha fatto l'attuale capoazienda Tim Cook, ma anche Jobs negli ultimi mesi di vita aveva preferito denunciare gli utilizzatori della piattaforma Android, come Samsung, anziché colpire direttamente Google.
Ma è la società fondata da Larry Page e Sergey Brin il vero bersaglio della Apple. Era questa la guerra termonucleare annunciata da Steve Jobs. Una guerra che sta ora vincendo dall'oltretomba?
à presto per dirlo, visto che, dopo l'indubbio successo di venerdì, ci saranno ricorsi e controricorsi fino alla Corte Suprema, mentre battaglie legali analoghe sono in corso in molti altri Paesi. Cook, in un messaggio ai suoi dipendenti, ha celebrato la sentenza che riconosce Samsung colpevole per aver utilizzato illecitamente sei brevetti Apple (tre dei quali copiati in modo volontario) come «un giorno importante per la nostra azienda e per gli innovatori di tutto il mondo».
Ma gli avvocati della Samsung, annunciando il ricorso, hanno invece definito la sentenza di San Josè «una sconfitta per il consumatore americano che troverà sul mercato un minor numero di prodotti e a prezzi più elevati», in un mondo nel quale Apple «cerca di ottenere il monopolio degli apparecchi rettangolari con gli angoli arrotondati».
Il riferimento è all'accusa della Apple rivolta al «tablet» 10.1 di Samsung che sarebbe troppo simile all'iPad. In realtà questo è l'unico punto sul quale la giuria di sette uomini e due donne ha assolto il gruppo coreano. Una sentenza arrivata in tempi molto rapidi, considerata la complessità della materia (la giuria ha ricevuto 109 pagine di istruzioni e ha dovuto valutare le innovazioni contenute in ben 28 apparecchi Samsung). Rapidità forse dovuta proprio a Velvin Hogan che, da esperto di tecnologie informatiche, avrebbe preso per mano la giuria guidandola verso la sentenza.
Insomma, altri colpi di scena non sono esclusi, ma lo scenario attuale è quello di una Apple che - leader indiscussa della tecnologia per «tablet» e «smartphone», ma surclassata nel mercato della telefonia dal primato commerciale agli apparecchi basati su Android - ora costringe i concorrenti sulla difensiva.
Samsung sarà costretta a frenare e qualche altro utilizzatore di Android, davanti al rischio di nuovi attacchi di Apple, potrebbe essere tentato di passare a un altro sistema operativo. La sentenza, infatti, giudica illegittimi certi usi del «touch screen» che ormai sono abituali anche per chi non ha l'iPhone. E presto l'offensiva potrebbe raggiungere le icone delle applicazioni: troppo simili in Android a quelle che appaiono sugli schermi di iPhone e iPad.
Probabilmente, quindi, in futuro i consumatori troveranno nei negozi dei terminali digitali dal design e dalle soluzioni tecniche più diversificati di quanto non avvenga oggi.
Dall'oltretomba Jobs mette con le spalle al muro Google, il vecchio alleato dal quale si è sentito tradito, mentre paradossalmente fa un favore al nemico storico Bill Gates. La frenata di Android e l'imperativo della diversificazione, infatti, possono offrire una chance alla sua Microsoft che, in cordata con la Nokia, sta faticosamente cercando di tornare ad occupare un ruolo da protagonista nel mercato dei terminali mobili.
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