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DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
Pietro Saccò per Avvenire
«I prossimi due mesi sono cruciali per Alitalia. È di vitale importanza che il personale della compagnia e i principali stakeholder, quali i partner commerciali, i fornitori e i sindacati, accettino e facciano propri i cambiamenti radicali di cui abbiamo bisogno. Solo così potremo ottenere un successivo e significativo finanziamento da parte degli azionisti, senza il quale Alitalia non avrà futuro».
Parola dell' amministratore delegato Cramer Ball, che al termine della riunione del consiglio di amministrazione del 22 dicembre usava questi toni ultimativi per preparare il terreno alle trattative necessarie a salvare, ancora una volta, la nostra ex compagnia di bandiera. I due mesi sono quasi passati ma le trattative sul rilancio di Alitalia sono in stallo. Nessuno, al di là del Cda e delle società di consulenza coinvolte, ha potuto sapere che cosa c' è scritto di preciso nelle 158 pagine della "seconda fase del piano industriale" approvato appena prima di Natale.
cramer ball luca di montezemolo
Il progetto di rilancio che Alitalia aveva promesso di presentare a gennaio ancora latita, ma nel frattempo l'azienda è andata allo scontro con i sindacati. Ieri gli avvocati di Fit-Cisl, Filt-Cgil, Uiltrasporti e Ugl trasporto aereo le hanno inviato una diffida chiedendo il rispetto della contratto nazionale, che invece Alitalia considera scaduto, e quindi non più efficace, dal 1° di gennaio (con conseguente congelamento degli scatti contrattuali per i dipendenti).
La settimana scorsa i sindacati hanno abbandonato la trattativa sul rinnovo del contratto nazionale, chiedendo un incontro al governo. Probabilmente saranno ricevuti questo giovedì, ma finché l' azienda non svela i suoi piani anche il governo non può fare molto. «Non ci sono state novità, andiamo a sentire i sindacati, nel frattempo immagino che la compagnia si stia predisponendo a presentarci il piano industriale» ammetteva venerdì Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico.
Il ritardo della presentazione del piano si spiega soprattutto con la fase di 'interregno' in cui è entrata Etihad. La compagnia di Abu Dhabi che dal 2014 controlla Alitalia con una quota del 49% a gennaio ha congedato James Hogan, il manager che negli ultimi dieci anni ha trasformato il piccolo vettore emiratino in un gruppo da più di 18 milioni di passeggeri che vola su 112 destinazioni.
È stato Hogan a scegliere una strategia di espansione e crescita attraverso l' acquisto di quote di compagnie internazionali. Non ha funzionato bene. I due investimenti maggiori, quelli per Air Berlin e Alitalia, sono andati malissimo. La compagnia tedesca, di cui Etihad ha il 29% dal 2012, ha perso più o meno un miliardo di euro in quattro anni e infatti lo scorso dicembre Hogan è stato costretto ad avviare la ritirata: ha prestato in leasing metà della flotta di Air Berlin a Lufthansa e iglobato le rotte turistiche in una joint vewnture con il tour operator tedesco Tui.
La guida del gruppo è appena stata affidata a Thomas Winkelmann, che arriva direttamente da Lufthansa, una specie di commissariamento. Difatti, dopo la resa, tra Etihad e Lufthansa si sta sviluppando un' interessante alleanza.
Alitalia per Etihad è stata una voragine anche peggiore di quella in cui si sono imbattuti in Germania: ha bruciato 580 milioni di euro nel 2014, 200 milioni nel 2015, altri 400 milioni di euro nel 2016. Gli emiri, che avevano investito 560 milioni di euro per l' aumento di capitale del 2014, hanno dovuto accollarsi altri 216 milioni di euro di debiti del vettore italiano a fine 2016. Serve una nuova via d' uscita, ma qui in Italia non c' è una Lufthansa che possa accompagnare gli emiri verso una ritirata dolce.
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