DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Massimo Gaggi per “il Corriere della Sera”
Stop all’immissione di nuova liquidità nel sistema economico americano con l’acquisto mensile di obbligazioni private e titoli del Tesoro federale. Con la fine di ottobre la Federal Reserve concluderà la terza fase di quantitative easing . Dovrebbe essere la conclusione di un’era, iniziata sei anni fa, nella quale la Banca centrale Usa ha di fatto stampato dollari, gonfiando il suo portafoglio di titoli pubblici e privati dagli 890 miliardi del 2008, prima della crisi esplosa col crollo della Lehman, ai circa 4.500 miliardi di dollari attuali.
A differenza di quanto avvenne a metà del 2013, quando l’annuncio di una progressiva riduzione del «QE3» da parte dell’allora capo della Fed, Ben Bernanke, provocò forti scosse nei mercati, stavolta la scelta di concludere definitivamente gli interventi di sostegno, comunicata ieri dall’attuale presidente della Banca centrale, Janet Yellen, è stato accolto senza particolare emozione da un mercato lungamente preparato all’evento.
Leggermente negativa la reazione della Borsa semplicemente perché, ormai archiviato l’acquisto dei titoli, molti operatori si aspettavano dalla Fed qualche segnale su un possibile rinvio dell’aumento dei tassi d’interesse, attualmente previsto dalla maggior parte degli analisti per la tarda primavera o l’estate, dopo sei anni di costo del denaro a zero o quasi.
Ma la Federal Reserve ha scelto di non enfatizzare i timori di deflazione e i segnali di debolezza provenienti soprattutto dalla congiuntura internazionale: il suo documento che sottolinea come la ripresa continui, sia pure a velocità ridotta, e che definisce «sostanziali» i miglioramenti del mercato del lavoro (più 227 mila posti di lavoro a settembre e disoccupazione scesa al 5,9 per cento), suona come un voto di fiducia nei confronti dell’economia americana.
quantitative easing DOLLARO SIRINGA
Questo ha fatto concludere ad alcuni operatori che la Fed, anche se continua a sostenere che i tassi d’interesse resteranno ai livelli attuali «per un considerevole periodo» di tempo, potrebbe essere tentata di rimuovere prima del previsto quella che è, comunque, un’altra distorsione dell’economia (il denaro a costo zero).
Ha inciso anche il fatto che uno dei membri del board della Banca, il capo della Fed di Minneapolis, Narayana Kocherlakota, ha espresso un voto contrario sostenendo che la debolezza della congiuntura andrebbe invece contrastata acquistando altri titoli e non toccando i tassi fino a quando l’inflazione non supererà il 2 per cento.
quantitative easing OBAMA FEDERAL RESERVE
Questo voto dissenziente non lascerà strascichi. Ieri i mercati hanno reagito con un lieve indebolimento della Borsa Usa (meno 0,2%) e dell’oro e un rafforzamento del dollaro (dopo la chiusura di Wall Street l’euro era scambiato a 1,2637 dollari, oltre 1,27 alla vigilia). Rimane comunque improbabile un anticipo significativo della manovra sui tassi, a meno che non torni a riaffacciarsi il rischio inflazione: ipotesi oggi remota (anzi si teme la deflazione), anche alla luce del forte calo del prezzo del petrolio.
Per la politica monetaria Usa è tempo di bilanci sotto gli occhi di un’Europa partita tardi che va in controtendenza, iniziando ora gli acquisiti di titoli da parte della Bce. Gonfiando il suo bilancio, la Fed si è presa grossi rischi, ha alimentato bolle e squilibri che hanno favorito soprattutto la Borsa, la finanza e il settore immobiliare, mentre altrettanto non si può dire per il reddito dei lavoratori.
Nonostante ciò, il bilancio è positivo: in assenza di una forte politica economica governativa, la politica monetaria ha contrastato le tendenze recessive, sostenendo il credito e la creazione di nuovi posti di lavoro: basti pensare che quando fu lanciato il «QE3», il tasso di disoccupazione, ora al 5,9%, era ancora sopra l’8 per cento.
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