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Ettore Livini per la Repubblica
L’Italia prepara l’assalto finale all’evasione con il più improbabile degli alleati: la dea bendata. Le armi convenzionali anti-furbetti dello scontrino – studi di settore, voluntary disclosures e incroci tra banche dati – hanno funzionato a singhiozzo. All’appello delle casse dello Stato mancano qualcosa 120 miliardi di entrate l’anno. E il Belpaese – seguendo l’esempio di Cina, Malta, Portogallo & C. – è pronto a calare l’asso del “Tassa & vinci”, la super-lotteria delle ricevute fiscali.
Il meccanismo messo a punto dal governo - «la sperimentazione partirà nel 2017», ha garantito il viceministro dell’Economia Luigi Casero - è un classico della finanza comportamentale creativa. Come obbligare gli italiani a chiedere lo scontrino a liberi professionisti, artigiani ed esercenti? Semplice: convincendoli che quel pezzo di carta può cambiar loro la vita, come un tagliando vincente della riffa della Befana. Ogni ricevuta, dice il tam-tam, sarà abbinata a un numero. E una serie di estrazioni periodiche regalerà ricchi premi ai contribuenti baciati dalla fortuna, aiutando – e questo è il vero obiettivo – a far emergere un po’ del nero nascosto nella penisola.
Funziona? I paesi che hanno già affidato alla buona sorte la lotta all’evasione dicono di sì. Il pioniere è stato Taiwan. Dove la “Tombola erariale” lanciata nel 1950 è ormai entrata a far parte del Dna nazionale: il 25 di ogni mese dispari, in diretta tv, otto modelle estraggono altrettanti numeri. Il “banco” paga tutte le combinazioni dal terno in su. Chi ha in tasca una ricevuta che riproduce le otto cifre in sequenza esatta si mette in tasca 10 milioni di dollari locali, qualcosa come 300mila euro.
La Cina, visto il successo di Taipei, ha replicato l’esperimento. E il “Tassa & Vinci” di Pechino ha funzionato più della deterrenza in una nazione dove l’evasione fiscale è punita con la pena di morte: i Feipao, gli scontrini numerati o da grattare buoni per vincere alla lotteria, sono andati a ruba. E nelle regioni dove sono stati adottati, la raccolta fiscale è superiore quasi del 20% a quelle dove non esistono.
In Europa il fisco d’azzardo ha sfondato un po’ più tardi. Malta - dove l’Iva è arrivata a rappresentare quasi un quarto delle entrate dello stato e l’economia sommersa è un problema serio - ha giocato il jolly nel 1997 con un meccanismo un po’ barocco. Le ricevute vanno compilate una a una e spedite (nei periodi d’oro ne arrivavano a La Valletta a milioni). Poi ogni mese c’è l’estrazione con in palio 50mila euro. I premi sono pari a 100 volte il valore dello scontrino, da un minimo di 233 a un massimo di 11.500 euro.
La Slovacchia ha introdotto il programma nel 2013 dopo il crollo delle entrate fiscali seguito all’ingresso nella Ue, accompagnandolo con un giro di vite penale e perfezionando la riffa con un tocco di marketing stile Champions League: c’è un girone eliminatorio dove si vincono da 100 a 10mila euro, una fase regionale a estrazione secca dove in ogni area sono in palio tagliandi da 5mila euro e un auto. Più un gran finale dove il vincitore – a un certo punto - portava a casa l’alloro più ambito: una comparsata tv a “Ok il prezzo è giusto”.
La guerra al nero viaggia invece in Portogallo a quattroruote. I soldi nella vita non sono tutto. La “Factura da sorte”, come si chiama la riffa lusitana, premia i vincitori con auto di lusso. Una Audi A4 nelle tombole settimanali, tre A6 in quelle biannuali. I contribuenti hanno diritto a un coupon per partecipare all’estrazione ogni 10 euro di ricevute (li rilasciano i venditori). La prima riffa dell’aprile 2014 ha visto in gara ben 207mila “tagliandi” e la diretta tv ha raggiunto un’audience di 600mila persone. A fregarsi le mani alla fine è stata anche l’Agenzia delle entrate di Lisbona. Nel primo anno di sperimentazione il gettito fiscale è cresciuto del 4%, il doppio dell’aumento dei consumi.
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