
LA MOSSA DEI DAZI DI TRUMP: UN BOOMERANG CHE L’HA SBATTUTO CON IL CULONE PER TERRA – DIETRO LA LEVA…
DAGOREPORT
I pochi imprenditori e i manager che invece di studiare alla Bocconi (la madre di tutti i sapientoni) e di prendere un master in qualche università straniera hanno frequentato le università cattoliche, sanno dare il giusto peso alla parola "apocalisse".
Per loro questo termine non è sinonimo soltanto di disastro, ma si può utilizzare letteralmente ricorrendo al greco dove Apocalisse significa togliere il velo e gettar via ciò che copre come si legge nel Nuovo Testamento.
Per questa pattuglia di imprenditori e di manager che invece di smanettare tutto il giorno sul pc e sull'ipad, dedica qualche minuto di ogni anno a leggere un libro, ciò che sta accadendo in questi giorni non desta sorpresa e anzi si può leggere con una certa soddisfazione.
Di sicuro questo stato d'animo provoca anche qualche godimento, discretamente soffocato, per non dare l'impressione che i sentimenti di vendetta e di rivalsa appaiano troppo miserabili rispetto alla gravità dei dati economici. Nulla però impedisce di immaginare che di fronte alla notizia delle dimissioni di Enrico Cucchiani dal vertice di Intesa, personaggi come Corradino Passera, Federico Ghizzoni e Alessandro Profumo si siano fregati le mani stappando qualche bottiglia di champagne.
Per il marito di Giovannona Salza l'apocalisse di Intesa SanPaolo suona come la conferma di quella filosofia che lo ha portato a concepire nel 2008 il Piano Fenice per poi tenersi lontano ,quando è andato al governo, dai dossier caldi di Telecom e della politica industriale.
Anche il roseo Ghizzoni, che negli ultimi tempi si è calato nei panni un po' incerti del politologo, d'ora in avanti potrà guardare dall'alto del nuovo grattacielo nel quale stamane 4mila dipendenti sono entrati per la prima volta con gli occhi spalancati per la meraviglia, allo spettacolo di un sistema finanziario in cui Unicredit diventa la prima banca italiana.
E a godere sarà anche Alessandro Profumo che non dimentica quelle telefonate incaute del novembre 2011 di Cucchiani con il suo amico Bisignani dove si ricordava con malizia il ruolo-chiave nell'ingresso dei libici a piazza Cordusio.
Ma l'apocalisse ,sempre letta come rivelazione e non come sventura, dovrebbe far godere anche lo stesso Cucchiani perché esce da Intesa con il profilo professionale malconcio, ma si porta a casa 7 milioni di liquidazione per un anno e mezzo di lavoro (in verita' quei 7 milioni sono la cifra "ufficiale" e forse non è sbagliato pensare che per indurlo ad accettare la clausola del silenzio abbia concordato con Abramo-Bazoli una buonuscita molto più sostanziosa).
La settimana dell'apocalisse che per i suoi risvolti politici è riuscita a smuovere ieri in un editoriale del "Corriere della Sera" perfino l'indignazione del moderato di destra Pier Luigi Battista, avrà la punta più alta giovedì prossimo quando Franchino Bernabè presenterà le sue dimissioni al consiglio di amministrazione di Telecom. Diceva Eraclito e ripeteva il filosofo Bergson: "nessuno cade due volte nel medesimo forno", ma questo aforisma è stato smentito dal manager di Vipiteno che dopo la rapida esperienza del 1998 è ricaduto nel forno dell'azienda senza che le sue virtù siano state apprezzate.
In un ritratto pubblicato sabato sul quotidiano "Il Foglio", il manager viene paragonato per la sua riservatezza e per temperamento ad Allen Dulles, lo storico capo della Cia "gentleman nei modi, un mistero nei fatti". E dopo aver sbeffeggiato chi attraverso il web fa del complottismo becero "solo a sentire le parole Bilderberg e Rothschild", il giornale di Giuliano Ferrara si esalta con l'apologia di un uomo come Franchino che "non è dispotico, non è bisbetico, non è enfatico, non è smodato, non è noncurante, non è schierato, non si definisce, vuole restare indefinibile. Cade, ma cade in piedi".
Se Franchino superando il cinismo che lo ha portato a diventare famoso quando tagliò la testa a 300 dirigenti dell'Eni, troverà il tempo necessario, dovrà baciare la giornalista Marianna Rizzini per questo monumento "umano" nel quale manca un piccolo dettaglio sulla totale incapacità di Bernabè di pensare a una strategia industriale all'altezza del suo compito.
L'apocalisse che lo ha travolto sembrava studiata a tavolino per uscire come un eroe dopo la scalata degli spagnoli a Telco, ma di fronte all'ipotesi di un aumento di capitale il tandem iberico guidato da Cesar Alierta e Gabriele Galateri ha fornito a Enrichetto Letta le garanzie sufficienti.
E Franchino deve aver capito che la sua fine era vicina quando il furbo Tarak Ben Ammar, consigliere di Telecom, se ne è uscito venerdì con una dichiarazione che scaricava sullo stesso Bernabè il compito di riflettere nell'interesse dell'azienda.
Anche nel suo caso comunque i versetti dell'Apocalisse vanno letti al rovescio perché , oltre a una liquidazione monstre di cui avrà già parlato con gli amici Siniscalco, Chicco Testa e Lilli Gruber, nessuno può immaginare la gioia di Bernabè di uscire dal "forno" in cui si era cacciato. A questo punto sul futuro di Telecom se la vedranno il governo o il governicchio, e a lasciarlo indifferente sono i commenti al vetriolo di manager come Marco De Benedetti e Riccardo Ruggiero che hanno lamentato pubblicamente la gravità della scalata spagnola.
A godere dell'apocalisse è pronto Massimo Sarmi, il manager dalle orecchie generose che dopo aver lavorato in Telecom dal '95 al 2000 ha fatto una breve esperienza in Siemens per poi diventare nel 2002 amministratore delegato delle Poste.
Dopo 11 anni passati a rendere efficiente l'azienda delle lettere l'ingegnere non vede l'ora di tagliare la corda e di interrompere quella serie di genuflessioni che lo hanno portato a baciare la pantofola di Gianfranco Fini, Silvio Berlusconi e Giulietto Tremonti. Adesso il copione si è rovesciato e ad invocare la sua nomina sono i consiglieri di amministrazione e gli spagnoli che credono nel valore della sua esperienza telefonica.
Qualcuno scrive che l'arrivo di Sarmi non sarebbe così indolore e avrebbe bisogno di tempi lunghi perché PosteItaliane - così si leggeva ieri sul "Sole 24 Ore" - controlla un operatore di telefonia, PosteMobile, e quindi Sarmi difficilmente potrà essere cooptato come consigliere già giovedì al posto di Bernabè per evidente conflitto di interesse.
Queste obiezioni sembrano abbastanza fragili come fragile è l'ipotesi che per Telecom possa valere una sorta di moratoria simile a quella che ha portato il capellone Carlo Messina al posto di Cucchiani dentro BancaIntesa.
L'azienda è sull'orlo del baratro e basta un colpetto per far buttare il titolo Telecom dentro la "spazzatura" dove gia' e' finita Finmeccanica. E poi c'è un delicato problema di strategia internazionale che va affrontato con mano sicura. à la questione che riguarda il valore strategico della Rete e dei cavi sottomarini attraverso i quali passano anche i collegamenti verso Israele. Su questo aspetto ,che fa scattare la preoccupazione degli ambienti militari e dei servizi di sicurezza, italiani, americani e israeliani, anche Dagospia nella sua infinita miseria qualche tempo fa aveva richiamato l'attenzione.
Adesso il problema di risveglia e a farsene interprete è stato ieri il giornalista Giuseppe Oddo con un articolo relegato in uno spazio modesto. Quindi tutto gioca in favore di una soluzione accelerata e, al di là del ruolo che potrà avere quel bravo ragazzo di Marco Patuano assurto alla carica di amministratore delegato, la questione va nelle mani esperte di Sarmi che, tra gli altri incarichi, ha anche quello di presidente della Fondazione Global Cyber Security, l'organismo internazionale per la sicurezza delle comunicazioni digitali.
La settimana dell'Apocalisse si presenta così, con manager e banchieri che scendono con le valigette piene di quattrini e altri che salgono per tirar su le sorti di un sistema piegato sul fianco come l'airbus dell'Alitalia che ieri sera ha rischiato di schiantarsi sulla pista di Fiumicino.
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