DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Donnet Caltagirone Del Vecchio
DAGONEWS
L’Economist scrive che il fronte Mediobanca che sostiene Donnet è al 35 per cento dell’assemblea e Nagel ha la vittoria in tasca. I due “canuti ribelli” Calta e Del Vecchio dovranno “accontentarsi” dei dividendi: secondo i calcoli del settimanale britannico, 840 milioni di euro in tre anni.
A Roma, invece, serpeggiano rumors che all’assemblea del 14 marzo Calta presenterà una lista di consiglieri che non sarà “corta” (quindi di minoranza) bensì “lunga” (cioè punta alla conquista della maggioranza, completa di presidente e ad).
A ridosso del consiglio del 14 marzo, aggiungono, Calta dovrebbe annunciare qualche novità alla Consob. Oltre ai voti di Del Vecchio e CRT, c’è la possibilità che anche la quota Benetton voti per Calta.
2. IL FUTURO DI GENERALI: "CIAO, SALOTTO BUONO"
ARTICOLO DELL ECONOMIST SU MEDIOBANCA E GENERALI
Da l’”Economist”
Venti anni fa Mediobanca era l’epicentro del salotto buono, un gruppo di aziende vecchio stile la cui rete di collegamenti incrociati dominava il business italiano. I tempi sono cambiati. Oggi la banca milanese è schierata per la modernizzazione, in una lotta con due “super-senior” per il futuro di Generali, il principale assicuratore in Italia, che ha compiuto 190 anni. Una lotta il cui esito potrebbe decidere se la corporate governance italiana sia riuscita finalmente a entrare nel 21° secolo.
the economist e la sinistra illiberale
La lotta di potere vede contrapporsi da un lato Alberto Nagel, capo di Mediobanca, e dall’altro Leonardo Del Vecchio, l'86enne fondatore del gigante dell’occhialeria Luxottica, e Francesco Gaetano Caltagirone, 78 anni, magnate del settore edilizio. Entrambe le parti possiedono partecipazioni significative in Generali: Mediobanca controlla il 17%, mentre il duo possiede insieme il 14%.
La posta in gioco è la direzione futura e la governance di una delle più grandi aziende italiane. Nagel ritiene che Generali sia sulla strada giusta sotto la guida di Philippe Donnet, l'amministratore delegato francese il cui mandato deve essere rinnovato all'Assemblea degli azionisti di aprile, mentre Del Vecchio e Caltagirone si stanno agitando per un cambio di regime nel prestigioso assicuratore triestino.
Per quale esatto motivo, però, non è chiaro. Non hanno presentato un piano strategico né un candidato alternativo come CEO. Sembrano insoddisfatti della strategia di M&A di Generali, che considerano troppo timida. La recente acquisizione di Cattolica, un competitor minore e locale, non è il tipo di operazione che avrebbero in mente, che dovrebbe essere invece grande e internazionale. Lamentano il fatto che Generali dovrebbe fare di più per digitalizzare le proprie attività.
In realtà Donnet sembra aver fatto un buon lavoro in Generali: ha rafforzato la posizione di capitale attraverso la vendita di attività periferiche e il miglioramento della profittabilità; ha abbassato il peso del debito e ha modificato il business mix abbondonando prodotti a eccessivo assorbimento di capitale, come le polizze vita garantite, a favore di quelle fee based, come le polizze Danni; negli ultimi mesi ha realizzato acquisizioni che hanno aumentato la quota di Generali nei principali mercati europei. E Generali ha fatto da pioniere nello sviluppo di un software che scrive da solo i contratti assicurativi.
gabriele galateri di genola philippe donnet
Inoltre, Generali è diventata una “macchina da soldi” per la felicità degli investitori istituzionali, secondo Andrew Ritchie di Autonomous Research. Quando Donnet ha presentato il suo piano triennale a dicembre, ha promesso dividendi cumulativi di quasi 6 miliardi di euro (6,8 miliardi di dollari), ha previsto un aumento annuale degli utili per azione dal 6% all'8% e ha annunciato un buyback da 500 milioni di euro.
Quali sono dunque le motivazioni del duo di dissidenti? Forse la perdita di influenza. Ai vecchi tempi del salotto, il CEO di Generali avrebbe cenato con i principali azionisti prima di annunciare decisioni strategiche o nuovi membri del consiglio. Quei giorni sono passati e la Compagnia continua ad allineare la propria governance con le norme europee.
paola Barale Leonardo Del Vecchio
Secondo le regole introdotte da Donnet nel 2020, il mese scorso il consiglio uscente ha raccomandato nuovi amministratori, come avviene in alcune blue-chip continentali, per l’attuale consiglio che oggi conta 10 persone. Ai due le regole non sono piaciute.
All’apparenza hanno ottenuto una vittoria il 18 febbraio, quando Gabriele Galateri di Genola, presidente di Generali, ha detto che avrebbe fatto un passo indietro alla fine del suo terzo mandato in aprile. Ma Galateri non lascerà perché spinto dai due ma perché sostiene la volontà di Donnet di modernizzare le Generali: secondo le nuove regole di governance, non è possibile ricoprire più di tre mandati.
Del Vecchio e la moglie Zampillo
È probabile, infatti, che Donnet sarà ancora al suo posto dopo l’Assemblea del 29 aprile. Secondo gli analisti, Nagel e gli investitori che rappresentano il 35% delle azioni prevarranno. Questo potrebbe far arrabbiare i due canuti ribelli, ma per loro c'è anche un lato positivo. Come azionisti di primo piano, intascheranno infatti ricchissimi dividendi nei prossimi anni.
3. LISTA GENERALI QUASI FATTA SIRONI PER LA PRESIDENZA
Marcello Zacchè per “il Giornale”
Sarà Andrea Sironi il candidato presidente nella lista che il cda uscente presenterà all'assemblea delle Generali del 29 aprile per il rinnovo dei vertici. L'economista, già rettore dell'Università Bocconi, 58 anni il prossimo maggio, è stato indicato per la presidenza dopo essere stato cooptato in consiglio, ieri, insieme con Alessia Falsarone e Luisa Torchia.
I nuovi consiglieri sostituiscono i tre big dimissionari Francesco Gaetano Caltagrione, Romolo Bardin e Sabrina Pucci. I primi due in aperta polemica con la società, essendo rappresentanti rispettivamente di circa l'8 e 6% del capitale (Bardin è il manager di fiducia di Leonardo Del Vecchio), ed essendo apertamente contrari alla lista del cda. Mentre per Pucci si è trattato di un passo indietro avvenuto, almeno formalmente, senza polemiche.
Falsarone, 46 anni, poliglotta, un curriculum ricchissimo di esperienze internazionali e finanziarie, e Torchia, 64 anni, esperta di materie giuridico economiche molto nota, hanno entrambe i requisiti di indipendenza previsti dalle norme, al pari di Sironi. Per questo, con il loro ingresso nella futura lista del cda, il gruppo persegue l'obiettivo di aumentare sia il peso degli amministratori «indipendenti» sia quello delle «quote rosa».
A questo punto la lista del cda è dunque quasi pronta: il consiglio sarà composto da 13 o al massimo 15 membri. Ma nel caso di 13 nomi (che è quello considerato ideale dal parere di orientamento ai soci), con altre due liste in lizza (l'ipotesi più gettonata è una lista di Caltagirone e una di Assogestioni), la lista del cda può conquistare 9 o 10 posti.
Quindi, se si considera il presidente Sironi, il ceo Philippe Donnet, le due indipendenti cooptate ieri (Falsarone e Torchia) e i membri fin qui considerati il «nocciolo duro» del vecchio e del nuovo board (Clemente Rebecchini per Mediobanca, Lorenzo Pellicioli per De Agostini in uscita, e le indipendenti Diva Moriani, Antonella Mei-Pochtler e Ines Mazzilli), si arriva a quota 9, con 6 indipendenti e 5 donne: potrebbe essere questa la squadra dei consiglieri certi di essere eletti in caso di affermazione della lista Donnet.
GIOVANNI QUAGLIA FONDAZIONE CRT
A loro ne seguiranno fino ad altri 6, la cui elezione resterà comunque incerta fino al 29 aprile. Per la conferma di questo schema bisogna aspettare ancora fino al 14 marzo, quando il cda di Generali chiamato ad approvare il bilancio, dovrebbe anche votare la lista per il prossimo consiglio.
Prima di allora sono attese le mosse di Caltagirone che, dopo l'uscita dal patto con Del Vecchio e Crt, è il driver del piano alternativo a quello di Donnet. Anche se al momento l'ingegnere romano non ha ancora chiarito se intende presentare una lista «lunga» (di maggioranza) ovvero una lista di minoranza. Alla fine la parola passerà all'assemblea, dove Mediobanca e De Agostini contano sul 18-19%, mentre il peso degli investitori istituzionali (35%) sarà quello decisivo.
Da notare che nella battaglia si è appena schierato anche l'Economist, con un editoriale di lode per la gestione Donnet e di scetticismo sulle ambizioni di ribaltone di Caltagirone e Del Vecchio che, secondo il settimanale, non hanno chiarito al mercato gli obiettivi. Un intervento, quello dell'Economist, che avrebbe anche svelato il tifo sottotraccia del gruppo Agnelli-Exor (grande socio del gruppo editoriale inglese) per Mediobanca-Generali. Chissà.
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