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Luca Fazzo per “il Giornale”
Accusata nei giorni scorsi di avere concesso con troppa indulgenza a un violentatore seriale come Antonio Di Fazio di uscire dal carcere per andarsi a curare in una comunità, ieri la Procura di Milano si riscatta proponendo per l'ex manager farmaceutico una pena assai severa.
Per la lunga serie di stupri di cui è chiaramente colpevole, il pm Alessia Menegazzo chiede che Di Fazio venga condannato a nove anni e mezzo di carcere. Il totale sarebbe di tredici anni e mezzo, quasi il massimo della pena. Ma lo sconto del rito abbreviato, che ha chiesto e non gli può essere negato, potrà consentire a Di Fazio - che è in larga parte reo confesso - di limitare i danni.
Linea dura, dunque, nonostante il manager abbia cercato di costruirsi una sorta di alibi fatto di fragilità mentali e dipendenze da farmaci e droghe. Nella sua requisitoria la pm Menegazzo riconosce che i gravi disturbi della personalità di Antonio Di Fazio sono la «chiave di lettura» dei suo delitti, il «filo rosso» che collega tutti i suoi stupri.
Ma in nessun modo quei disturbi hanno intaccato la lucidità del suo agire, la sua consapevolezza di compiere un crimine. Non a caso lo schema, ricostruito in udienza dal pm, era sostanzialmente sempre lo stesso.
L'attrazione della vittima prescelta, la seduzione, l'apparenza di un rapporto «normale». Poi, passo dopo passo, la perversione che entra in scena, con le donne rese incoscienti e colpi di psicofarmaci, e poi una volta in balia di Fazio rese oggetti, stuprate, fotografate in ogni posa.
In questo modo il manager avrebbe violentato almeno sei vittime. Alla denuncia della prima ragazza se ne sono aggiunte altre, compresa quella della ex moglie. Stavolta non ci sono i video delle telecamere di sorveglianza come nel caso assai simile di Alberto Genovese, l'imprenditore delle new economy che il prossimo 5 aprile dovrà affrontare l'udienza preliminare.
Ma le fotografie scattate da Di Fazio e trovate dagli inquirenti sono, anche se più parziali, altrettanto sufficienti a documentare il grado di incoscienza in cui le vittime erano ridotte. E che era la condizione voluta dal manager per sfogare la sua ansia di dominio.
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