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Massimo Giannini per "Affari & Finanza - la Repubblica"
Monta l'onda di sdegno contro i Poteri Morti della politica, che lucra denaro pubblico e spesso lo ruba, delinque ma quasi mai paga pegno. Ma se spostiamo lo sguardo a quelli che furono i Poteri Forti dell'economia, il quadro non è più confortante. La razza padrona e predona ne ha combinate di tutti i colori, con le coperture della politica e la collusione degli organi di garanzia. Estorsioni private e distrazioni pubbliche hanno consentito al sistema di prosperare.
Capitalisti senza capitali e manager senza vergogna hanno prosperato alle spalle di ignari azionisti di minoranza, carne da macello nel parco buoi della Borsa. E prestigiose Autorità di Vigilanza, guidate da sedicenti «servitori dello Stato», hanno lasciato fare. Questo giornale lo ripete da qualche anno: quante «culpae in vigilando» dovremo ancora vedere, prima che cambi qualcosa?
L'inchiesta della Procura di Torino sul caso Fondiaria-Sai, e sul saccheggio perpetrato in questi anni dalla famiglia Ligresti ai danni della compagnia e dei suoi soci minori, scoperchia un verminaio nel quale rischiano di finire in molti. Aspettiamo gli esiti delle indagini, e ci guardiamo bene dall'emettere sentenze in anticipo. Ma il caso del presidente dell'Isvap, ora indagato per concorso in falso in bilancio, è già da tempo uno scandalo a prescindere dai suoi esiti processuali. Dov'era Giancarlo Giannini, mentre Don Salvatore e i suoi figli spolpavano le casse della compagnia, fino a svuotare di 800 milioni la riserva sinistri e ad abbattere tutti i ratios di sicurezza del settore?
Non c'era bisogno dell'intervento di un magistrato, per dare corpo ai peggiori sospetti. Era già tutto chiaro. E' stato sempre tutto chiaro. Anche senza sapere che lo stesso Ligresti, tra il 2005 e il 2006, aveva assunto uno dei figli del suo «controllore», Andrea Giannini, nella sede di Roma. Ma non basta. E' ora di alzare lo sguardo. E allora non si può non vedere che sulla famiglia Ligresti non è stato solo l'Isvap a chiudere un occhio. In quegli stessi anni cruciali, quando è iniziato lo scempio della cassaforte Fonsai, la Consob di occhi ne deve aver chiusi due.
Ma del presidente della Commissione di allora, quel Lamberto Cardia grand commis di stretto rito lettiano, nessuno parla più. Si sta godendo una serena e milionaria vecchiaia non ai giardinetti o ai servizi sociali, ma alla presidenza delle Ferrovie. Così vanno le cose, nel piccolo e povero mondo antico del capitalismo italiano.
E vale per tutti. Controllori e controllati. L'ex direttore generale Piergiorgio Peluso e il suo vice Gianandrea Perco, dopo aver dato il loro fattivo contributo al collasso del bilancio Fonsai, se ne sono appena andati con la bellezza di 5,3 milioni di buonuscita. Nessuno paga per le sue azioni ed omissioni. Semmai incassa un premio. Ã la grande abbuffata dei Poteri Storti.
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