DAGOREPORT - ‘’RESTO FINCHÉ AVRÒ LA FIDUCIA DI GIORGIA. ORA DECIDE LEI”, SIBILA LA PITONESSA. ESSÌ,…
Claudio Antonelli per "La Verità"
CARLOS TAVARES JOHN ELKANN - STELLANTIS
Alla fine gli Agnelli hanno ceduto al pressing. La cosiddetta Gigafactory, che dovrà produrre batterie per auto elettriche, sorgerà in Italia. Il luogo scelto è Termoli. «L'allocazione del terzo sito europeo in Italia, dopo quelli in Francia e Germania è la conferma dell' impegno di Stellantis in Italia e della volontà di continuare a investire sul suo sistema produttivo», ha spiegato ieri l'ad Carlos Tavares.
«L'identificazione dell'impianto powertrain di Termoli rappresenta una scelta coerente nel contesto del percorso di Stellantis verso la completa transizione energetica, sulla scia di quanto annunciato per Douvrin in Francia e per Kaiserslautern in Germania».
Stellantis sta lavorando «con determinazione e velocità per anticipare e supportare la transizione energetica di tutti i suoi siti industriali italiani, con l'obiettivo di garantirne la sostenibilità attraverso il miglioramento delle loro performance e per far giocare al Paese un ruolo strategico tra i principali mercati domestici del gruppo. Il piano sarà divulgato e comunicato con un approccio graduale e al momento opportuno», ha concluso il manager portoghese.
Insomma, fin qui tutto a posto. Il gruppo evidentemente ha compreso di non potersi sottrarre all'aut aut del governo. Avrebbe per giunta rischiato di dover restituire parte se non l'intera somma ricevuta tramite Sace come prestito garantito per l'uscita dal Covid.
A questo punto resterà da comprendere quale sarà il vero sviluppo dello stabilimento e quanti soldi verranno veramente investiti. Lo stabilimento fu inaugurato nel 1985 da Gianni Agnelli e dal presidente Sandro Pertini. Nacque per produrre il celebre motore «fire», ma soprattutto per portare, come spesso è avvenuto, artificialmente lavoro al Sud.
Oggi per certi versi la contingenza si ripete. D'altronde se si prende la mappa geografica e si tira una linea che unisce Detroit, negli Usa, Parigi, Berlino, Termoli risulta un po' fuori mano. Per carità, oggi ci sposta più facilmente rispetto al 1985 e la città è sulla linea Milano-Lecce. Ma c'è il rischio che resti una struttura di serie B rispetto alle più grandi fabbriche che Stellantis andrà a sviluppare nei prossimi tre anni.
ROMA - JOHN ELKANN AL RISTORANTE
La scelta di Termoli ha poi scatenato un putiferio a Nord. «Questa decisione tradisce Torino. Tradisce il Piemonte, la sua storia, i suoi lavoratori, le sue Università e in generale una terra che ha inventato l'auto, ha investito, ha rischiato. Una terra che ha un credito enorme verso questa azienda e verso questo Stato», hanno fatto sapere ieri sia il presidente della Regione, Alberto Cirio, e il sindaco di Torino, Chiara Appendino.
Entrambi i politici hanno espresso rabbia. «Una rabbia che chi, come noi, ha responsabilità istituzionali deve trasformare in una azione. Attendiamo di avere parole chiare da Roma per capire su che basi questa scelta sia stata condivisa con il governo».
ALBERTO CIRIO CHIARA APPENDINO
Il riferimento è all'incontro rimasto segreto fino al lancio di agenzia di giovedì sera. Bloomberg ha svelato che dopo la veloce conference call tra Draghi, Giancarlo Giorgetti e John Elkann si è tenuto un incontro a inizio settimana. Si sarebbe deciso l'importo necessario (circa 1,5 miliardi) e il luogo di sviluppo del nuovo sito.
È chiaro che il processo e la scelta sono irreversibili. La richiesta dei rappresentanti del Piemonte è destinata a cadere nel vuoto. Non solo perché Stellantis è francese e certo non fa scelte basate sui sentimenti. Ma anche perché fino ad oggi Draghi ha insegnato che ascolta, incontra e poi sceglie in silenzio. Insomma, il concetto di concertazione con il nuovo governo è un po' labile. L'abbiamo visto con il decreto sui licenziamenti e ancor di più quando si è trattato di nomine pubbliche e quindi di rapporti con i rappresentanti dei partiti.
Dal punto di vista della tradizione, Torino ha ben ragione di provare rabbia. Ma non dovrebbe riversarla su questo governo. Semmai con i governi precedenti e con gli azionisti che hanno per anni e per decenni avuto accesso a filiere privilegiate e normative quasi sempre con il vento in poppa.
Poi il mercato si è allargato e prima si è scelta l'America di Barack Obama e poi Londra e l'Olanda. Il passo successivo è stato naturale. Vendere ai francesi, consolidare il mercato dell'auto per non farsi schiacciare da cinesi e tedeschi. Qualcuno alla Fiat avrebbe dovuto chiedere il conto prima dell'arrivo di Sergio Marchionne. Ormai è troppo tardi. D'altronde se la politica arriva sempre dopo...
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