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Arturo Zampaglione per “Affari & Finanza - la Repubblica”
Da quando Google è sbarcata a Wall Street nell’agosto 2004, le sue quotazioni sono salite di più del mille per cento. Perché allora si lamentano gli azionisti piccoli e grandi del motore di ricerca di Mountain View, in California? Semplice: il titolo batte la fiacca. Il declino degli ultimi giorni, che ha accomunato tutti i mercati azionari mondiali per effetto del calo-petrolio e dei nuovi timori sull’Europa (e sulla Grecia), si è aggiunto, nel caso di Google, a una pessima performance nel 2014.
L’anno si è chiuso con una perdita del 5 per cento, in netta controtendenza rispetto agli indici americani. Era dal 2008, cioè dall’anno più nero della tempesta finanziaria, che non si vedeva un andamento così negativo. Come spiegarlo? E quali saranno le prospettive per l’anno che è appena cominciato? Certo, girando per gli stand del Ces (Consumer electronic show), la grande kermesse dell’elettronica che si è tenuta la settimana scorsa a Las Vegas, non sembrava che Google fosse in crisi.
La multinazionale guidata da Larry Page presentava a un pubblico entusiasta i suoi progressi nel cosiddetto “internet of things”, cioè nel web applicato agli oggetti. Attraverso la Nest, la società che produce termostati intelligenti e manovrabili con lo smartphone, Google vuole diventare la “plancia di comando” per gli elettrodomestici e gli altri apparecchi di casa. Grazie ad accordi con Philips, LG, Logitech e altre aziende, Page ipotizza che, sempre dal telefonino, si potranno chiudere o aprire le “serrature intelligenti” di casa, che a loro volta regoleranno le luci, i riscaldamento o l’aria condizionata.
ZUCKERBERG ALL UNIVERSITA TSINGUA DI PECHINO
Ci sono poi i progressi nelle auto che si guidano da sole o i nuovi sistemi per trasmettere in streaming anche la musica, oltre che i video, sugli apparecchi collegati con Chromecast. Ma perché tutti questi sforzi di Google non si traducono in un rafforzamento del titolo? Le cifre sono infatti impietose: negli ultimi 12 mesi le quotazioni hanno visto un massimo di 604 dollari e un minimo di 489: martedì scorso erano appunto a 505 dollari, cioè ai livelli più bassi, pur garantendo una capitalizzazione di Borsa di 342 miliardi di dollari.
La realtà, ricordano gli analisti, è che non è affatto sicuro che i massicci investimenti per nuovi prodotti (si parla di 11 miliardi di dollari nell’attuale esercizio, con un raddoppio rispetto al precedente) portino tutti a grandi successi, come fu il caso per YouTube o per Android. È confermato invece uno spostamento dei budget pubblicitari dai clic di Google ai social network come Facebook: un trend, questo, evidenziato da Larry Page nella trimestrale dello scorso ottobre e che da allora ha raffreddato le quotazioni del gruppo.
a.zampaglione@repubblica.it
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