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Francesco De Dominicis per "Libero"
Attenzione: si segnalano manovre spericolate in banca sui Btp. La crisi finanziaria corre il rischio di spostare l'attenzione dei correntisti e degli investitori. Tuttavia, meglio non abbassare la guardia. Perché ci sono un paio di questioni da tenere sotto controllo, che ruotano attorno ai titoli di Stato italiani.
La prima riguarda la corsa dei grandi gruppi creditizi del nostro Paese a sostenere le obbligazioni del Tesoro. La sensazione è che ci sia aria di conflitti d'interesse. Ci spieghiamo: le banche vogliono invitare le famiglie a comprare titoli pubblici, ma è probabile che queste manovre si rivelino positive soprattutto sul versante dei requisiti patrimoniali degli istituti. Vantaggio finora non dichiarato.
La faccenda prende le mosse da un manifesto apparso su un quotidiano nazionale pochi giorni fa e sottoscritto da un imprenditore. Il quale è convinto - ed è difficile dargli torto - che l'Italia possa salvarsi da sola. Il problema è il debito pubblico? Bene: lo comprino gli italiani, così si tengono alla larga speculatori e grandi banche d'affari.
Tutti d'accordo, financo politici e industriali. In prima fila, i banchieri. Agli appelli di IntesaSanpaolo, Monte dei paschi di Siena e Unicredit, ha fatto seguito l'Antitrust. Il presidente del Garante della concorrenza, Antonio Catricalà , ha acceso un faro sulla trasparenza. L'ente di piazza Verdi è preoccupato per costi e commissioni: dietro l'intenzione delle banche - che hanno detto di voler azzerare le spese per l'acquisto di Btp allo sportello - potrebbe nascondersi qualche fregatura.
Di qui l'invito (apprezzabile, per carità ) a giocare a carte scoperte. L'Authority, però, ha omesso di rilevare i rischi sui potenziali conflitti di interesse: gli istituti, come accennato, potrebbero scaricare sui clienti i bond italiani, che ora sono più rischiosi e hanno effetti negativi sui requisiti patrimoniali dell'Unione europea.
Bruxelles ha imposto agli istituti di conteggiare le obbligazioni del Tesoro al valore di mercato e non al prezzo di acquisto (più alto). Insomma, un buon motivo per liberarsi di una zavorra e migliorare i bilanci. Il modello sembra identico al pasticcio dell'epoca Cirio, anche se i bond dell'industria alimentare erano un enorme bidone.
E non è tutto. Qualche vantaggio, per le banche, potrebbe esserci anche in caso di nuove emissioni: grazie al Btp day di cui si parla in queste ore gli istituti potrebbero evitare di partecipare alle aste del Tesoro con altrettanti effetti positivi sui loro conti. Il quadro non è chiaro. E l'Abi non ha preso posizione ufficiale. Gli esperti di palazzo Altieri appaiono (riservatamente) spiazzati.
Alla ribalta della cronaca, invece, non è arrivata la seconda faccenda spinosa. Che si riferisce alle singolari richieste - curiosamente cresciute nelle ultime settimane - che gli istituti sottopongono alla loro clientela. Alla quale viene chiesto di dare "in prestito" i propri bond statali (e non solo). In alcune circostanze il prestito è un'opzione (poco chiara e spesso nascosta) del contratto di deposito titoli.
La mossa è finalizzata a consentire alle banche di avere le necessarie garanzie per avere carta bianca sulle vendite allo scoperto, cioè operazioni ad altissimo rischio e sulle quali la Consob è intervenuta a gamba tesa in più di una circostanza.
Si tratta - per usare il linguaggio degli addetti ai lavori - dello short selling: speculaziosi su titoli che si basano su scommesse al ribasso e che solitamente vengono eseguite senza avere quei titoli in pancia. In pratica le banche giocano d'azzardo con i soldi degli investitori e pure dei piccoli risparmiatori, che si beccano pochi spiccioli. Viste le acque agitate, sarebbe opportuno un richiamo alla correttezza e alla trasparenza da parte di Banca d'Italia. Che giusto ieri ha lanciato l'allarme sui prestiti alle famiglie e alle imprese, con un calo a settembre attorno al 4,5%. Gli istituti hanno chiuso i rubinetti.
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